IV. C'è tutto il mondo (tra la culla e la fossa) - Parte 2

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          «Come sarebbe a dire, che non volete interrogare Iannello?»

Maione non avrebbe potuto essere più sorpreso se gli avesse detto di voler dare le dimissioni per partire per la Libia e darsi lì a una nuova vita d'agi.

«Non ho detto di non volerlo interrogare,» lo corregge Ricciardi. Cammina a passo tranquillo sotto la pioggerella insistente, frenando quello invece scalpitante del brigadiere accanto a lui. «Ho detto che non ho alcuna fretta di convocarlo.»

«Ma se sta scappando in America, commissa'!» sbotta lui, tentando di nuovo di accelerare l'andatura e rinunciando quando lui non lo asseconda.

«Non direi che sta scappando, o lo avrebbe già fatto da tempo. Il furto risale a tre settimane fa, aveva tutto il tempo di rivendere i beni, comprare un biglietto e imbarcarsi su uno dei bastimenti in partenza ogni settimana,» replica lui, per poi guardarlo fisso. «O pensi che Iannello abbia svaligiato anche le altre case e ammazzato Gigliolo a quel modo, mingherlino com'è, senza lavoro e con quattro figli a carico?»

Maione, a quella domanda, richiude la bocca e tace, colto in fallo.

«Il fatto che i furti siano collegati è una supposizione. Di quella nullità tonante di De Blasio, per giunta,» aggiunge, come se quello fosse motivo sufficiente per screditarla.

«Pure un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al dì,» ribatte lui, certo di mandarlo su di giri; e infatti Maione gonfia le guance, borbottando un "ma che mi tocca sentire" soffocato.

Un improvviso rovescio di pioggia tronca il loro confronto e li costringe a spiccare in una breve corsa, fino alle ombre del porticato più vicino, dove si fermano in attesa che spiova un poco. Cascatelle d'acqua si riversano oltre il cornicione, allagando il pavé in discesa con torrentelli impetuosi.

«Maio', non ho detto che voglio lasciarlo a piede libero,» riprende Ricciardi, tamponandosi i capelli umidi e ormai semi disfatti con una manica del soprabito. «Abbiamo un margine di tre giorni prima del prossimo transatlantico. Appena rientriamo in Questura, telefono al porto e faccio mettere Iannello in stato di fermo, poi lo interrogherò con calma. Ma a me non interessa arrestare una persona che ha rubato due spiccioli, per poi essere licenziato per tutt'altro crimine.»

Maione sospira in silenzio. Non contesta, né si mostra contrariato. Sono entrambi consapevoli che far arrestare Iannello metterebbe per strada l'intera famiglia, già costretta in miseria dal licenziamento. Non sono i primi ex-dipendenti delle famiglie derubate che versano in quelle condizioni, in costante affanno tra lavoretti malpagati e piccole delinquenze, per far quadrare i conti dopo aver perso l'unico introito sicuro.

«Commissario, mi pare evidente che, con questi presupposti, non riteniate sia stato nessuno della servitù o dei domestici,» dice infine il brigadiere, esprimendo il pensiero che corrode Ricciardi dall'inizio del caso.

Incrocia le braccia, lo sguardo fisso sui nastri di pioggia oltre il porticato.

«Non speravo di incriminare nessuno di loro, venendoli a questionare,» confessa poi, a mezza voce. «Al contrario, contavo di scovare dettagli che ci indirizzassero verso qualcun altro, di esterno; anche se all'inizio ero convinto anch'io di dover cercare più vicino alle mura domestiche. Qui, però, c'entra qualcuno che ci ha preso gusto a rapinare la gente, e che non è affatto un poveraccio, né un domestico che semplicemente coglie un'occasione favorevole. No, Maione, questo è un ladro con un metodo e con una logica che però noi non riusciamo ancora a vedere,» ragiona ad alta voce, per poi esitare brevemente. «Non è nemmeno detto che sia una persona sola.»

Maione gira il busto verso di lui, bloccandosi a metà del gesto di scrollar via l'acqua dal berretto.

«Quindi, mo' dobbiamo cercare pure più d'un delinquente?»

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now