VII. Paese reale (di sudditi e re) - Parte 2

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          Superato l'arco monumentale che fa da ingresso, l'edificio della Real Casa Santa dell'Annunziata si apre su uno stretto cortile interno, attorniato da palazzine dai toni di un barolo cupo, quasi sanguigno. Al centro, una fontana in pietra scurita dal tempo zampilla flebilmente acqua in una vasca a foggia floreale e ai lati dei bassi alberelli frusciano al vento in un sottofondo inquieto.

Col cielo bigio di quella mattinata che appare immobile, l'impressione è opprimente: la struttura sembra incombere sul cortile con l'intento di fagocitarlo nelle sue budella scarnificate.

Ricciardi misura lo spazio aperto a passi più lenti, rispetto a quelli con cui ha attraversato mezza Napoli in lungo e in largo da quella mattina, consumandosi le suole delle scarpe. Dopo quella tappa, lo aspettano ancora Bambinella e, infine, di nuovo la Questura, dove teme di trovare già il povero Iannello: immagina che Garzo non abbia perso tempo a farlo arrestare, tanto per mantenere il punto.

Se non lo raggiungerà all'Annunziata, spera anche di incrociarvi Maione, la cui assenza continua a pesargli come un cattivo presagio.

Rivolge lo sguardo all'imponente struttura davanti a sé, con una bassa gradinata che si dirama in un doppio scalone per poi ricongiungersi all'ingresso. Ha deciso di partire dall'Annunziata e non dai Turchini, basandosi sul fatto che le vesti di Annina fossero bianche, e non del colore omonimo dell'altra congregazione. Non c'è un'intuizione giusta o logica, oramai, ma tenta comunque di muoversi con criterio.

Si appropinqua allo scalone, alla sinistra del quale individua senza difficoltà la Ruota degli Esposti, ormai in disuso da mezzo secolo: una finestrella murata da una targa in marmo ne segna l'esistenza, oltre la quale immagina vi sia la bussola rotante in legno. Al suo fianco, una fessura per le offerte.

Con suo enorme sollievo, non scorge né ode alcun fantasma nei dintorni, anche se quel luogo non emana un'atmosfera serena, a dispetto del gorgogliare soporifero della fontana e del silenzio irreale che vi regna, a pochi passi dal cuore di Napoli. Si affretta a salire le scale, incalzato da una folata di vento particolarmente aspra.

Nell'atrio dalle volte affrescate trova una suora ad accoglierlo, intenta a scrutinare una serie di documenti dietro una scrivania d'ebano che ha l'aria di avere un paio di secoli. Alla sinistra dell'ambiente c'è una doppia porta con vetri smerigliati che, a giudicare dall'assenza di luce nella stanza, sembra condurre a un'ala non in uso; quella interna all'apertura della Ruota, suppone.

«Posso aiutarvi?» lo richiama la voce piena della suora, che ha alzato la testa dallo scrittoio.

È una novizia, a giudicare dall'assenza del colletto bianco a contrastare col nero puro delle sue vesti. Sembra piuttosto giovane, forse sua coetanea. Si leva in piedi, le mani giunte sotto il seno, a stringere la semplice croce d'argento che vi pende. Ha occhi verdi, intensi, e qualche filo di capelli fulvi sfugge al frontino bianco sotto al velo scuro che le ricade sulle spalle.

Quando Ricciardi le chiede di conferire con la priora, lei sgrana gli occhi come se avesse richiesto qualcosa di proibito. Risponde, scandalizzata, che "Madre Filippa non riceve senza preavviso, tanto meno senza un valido motivo".

Dopo più di qualche insistenza e una spiegazione sul perché la Polizia vorrebbe mai indagare in quel luogo (molto vaga, ma con particolare enfasi sul benessere dei giovani ospiti dell'Annunziata), la convince a provare, almeno, a verificare se non sia possibile avere un simile colloquio, anche solo di breve durata.

Suor Agnese, così si è presentata, non sembra affatto entusiasta del compito assegnatole, ma imbocca spedita lo scalone in ardesia levigata che porta ai piani superiori. Il suo scalpiccio risuona ancora a lungo in quegli ambienti austeri, in penombra e innaturalmente vuoti, in cui ogni suono riecheggia all'infinito. Sembra parte integrante della chiesa adiacente, più che un brefotrofio.

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