IX. Le ultime volte (non bussano alla porta) - Parte 2

88 6 68
                                    


          «Commissario! Ma che vi è accaduto?»

La suora che gli si fa incontro non appena supera la sala d'aspetto dei Pellegrini lo squadra da capo a piedi, le mani premute al petto, sul grembiale bianco che le copre la veste.

«Il dottor Modo,» la interrompe lui, quasi mangiandosi le parole, «è ancora di turno?» annaspa ancora, presumendo di essere ancor più malconcio di quanto credesse.

La donna si arresta, fissandolo in volto con gli occhi di chi vorrebbe solo medicarlo seduta stante. Quel momento di silenzio sembra prolungarsi all'infinito, rubandogli gli ultimi rimasugli d'ossigeno che gli danzano fievoli in petto. Una dozzina di scenari differenti gli scorre in testa come la pellicola impazzita di un cinematografo: Bruno arrestato, Bruno al confino, Bruno sotto tortura, in fin di vita e per colpa sua, solo per colpa sua e della sua imprudenza–

Poi l'infermiera si ricompone, scrollando la testa con un ondeggiare del suo ampio copricapo bianco. Si guarda rapida attorno, stranamente circospetta, poi risponde tutta d'un pezzo, chinandosi appena verso di lui:

«Il dottor Modo è nel suo ufficio, si è trattenuto oltre l'orario per delle faccende... voi avete bisogno d'assistenza?»

Ricciardi, conscio di essere a dir poco screanzato, la supera con una falcata prima ancora che possa finir di parlare e imbocca le scale; si lancia alle spalle un "grazie" tardivo, incontrando il suo sguardo esterrefatto.

Non se ne cura. Il sollievo gli scorre nelle vene, caldo e corroborante, e ha l'impressione di potersi accasciare là per terra da un secondo all'altro. Sarebbe nel posto giusto per farlo, dopotutto.

Ciononostante, non si concede requie e non rallenta il passo nel raggiungere l'ufficio di Bruno. I suoi passi riecheggiano secchi sui pavimenti in cotto rossiccio dell'ospedale, già semi deserto e con la maggior parte delle luci spente a quell'ora. S'inerpica su per l'ultima rampa, con la milza e le gambe che gli inviano fitte lancinanti, e raggiunge infine la sua porta; oltre i vetri smerigliati, scorge solo la tenue luce di una lampada da scrivania.

Spalanca la porta senza un briciolo di grazia, facendo tintinnare i vetri.

Un vuoto allo stomaco lo assale non appena riconosce la figura di Bruno alla scrivania, vivo, incolume; ma subito si tramuta in una voragine. Il medico, infatti, balza in piedi non appena lo sente entrare in quel modo irruento e si porta dall'altro lato della scrivania, frapponendola fra loro. Ricciardi inchioda sui tacchi, col sollievo che si inacidisce, ogni richiamo che gli muore in gola.

Bruno lo fissa con lo sguardo spiritato di chi si aspettava che, da quella porta, entrasse un demone col suo seguito infernale, e stringe convulsamente nel pugno un apri lettere affilato. Lo lascia cadere con un tintinnio sullo scrittoio, gettando fuori un respiro stentato nel riconoscerlo; pare non vederlo bene, forse per la scarsa luce, forse per l'agitazione.

«Ohi, Riccia',» esala, in quella che è solo una pallida ombra del saluto caloroso che gli riserva di solito.

Prima che lui possa rispondere o reagire in alcun modo, Bruno gli si fa incontro quasi in corsa e lo stringe a sé in modo scomposto, strizzandogli le costole e spremendo fuori la poca aria che vi rimaneva.

«Bru', ma che ti piglia?» riesce a soffiar fuori, sorreggendolo, perché gli si è praticamente abbandonato contro.

Il medico nemmeno risponde e non si stacca, anzi, aumenta la stretta su di lui con un respiro sobbalzante, le mani che si aggrappano a lui, alla sua giacca. Ricciardi gli cinge le spalle con un braccio e sporge rapido l'altro a chiudere la porta dietro di loro, celandoli alla vista. Per buona misura, gira a tentoni la chiave nella toppa, prima di ricambiare appieno l'abbraccio e sciogliersi in brividi scomposti.

La Ruota degli AngeliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora