XI. Apriti cielo (e manda un po' di sole) - Parte 2

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         Intercetta Maione davanti alla gradinata della Casa del Mutilato, dal lato opposto della piazza rispetto al perimetro curvo delle Regie Poste, ancora assediate da impalcature. Il cielo si è finalmente aperto un poco all'azzurro, lasciando che una lama di sole più caldo illumini gli edifici marmorei di un bianco sporco.

«Commissa', la prossima volta che mi mandate uno scugnizzo, assicuratevi che sia pure a modo. Gli avrei dato una bella tirata d'orecchi, a quel mariolo.»

Ricciardi sorride in silenzio a quelle rimostranze, affatto pentito d'aver incaricato il ragazzino dell'Annunziata che, di primo acchito, pareva avere la faccia più discola e da scavezzacollo, di andare a recuperare il brigadiere in Questura per avvisarlo di presentarsi là prima di mezzogiorno.

A quella reazione, il brigadiere alza gli occhi al cielo.

«Tiene ragione il dottor Modo: voi vi divertite davvero un mondo,» borbotta, salendo le scale avanti a lui.

Il sorriso di Ricciardi s'incrina appena. Lancia uno sguardo fugace alla sua destra, verso la traversa che conduce a casa di Bruno. Dovrebbe esservi rientrato, ormai.

Dopo la nottata non preventivata in ospedale, gli ha detto che s'è preso un giorno di riposo. Non sa se sperare che rimanga ben chiuso là dentro o che decida di andarsene a spasso; o, ancor meglio, al bordello, dove può sperare di avere un minimo di copertura dalle ragazze o da Mamma Clara, se le camicie nere dovessero andare a prelevarlo. La verità è che, al momento, non esiste un vero luogo sicuro per nessuno di loro due.

Resiste l'impulso di guardarsi le spalle: se davvero l'OVRA lo sta sorvegliando, non vuole dare loro la soddisfazione di mostrarsi in allarme. Si affretta a tornare presente a se stesso quando si accorge che il brigadiere è già in cima alle scale. Rituffa la testa nel caso, prima di farsi distogliere nuovamente dalle preoccupazioni che la inondano.

«Maione, hai convocato Caterina Gigliolo?»

«Ah, ecco,» gli fa lui, fermandosi con una mano sulla porta incastonata tra i dentelli dei sottili pilastri in piperno. «I funerali del marito sono oggi, giusto a mezzogiorno. Capisco l'urgenza, ma mi pareva importuno seccarla. Oltre che troppo vistoso.»

Ricciardi incrocia le braccia dietro la schiena senza esprimersi su quel fatto, di cui era ben a conoscenza. Aveva sperato che Maione si facesse meno problemi, ma ha ragione sul fatto del dare troppo nell'occhio. Si astiene dunque dall'esternare critiche su quella scelta.

«Dove si terrà la funzione?» chiede invece.

«Provate a indovinare.»

«Alla Basilica della Santissima Annunziata?»

In tutta risposta, Maione rilascia un respiro secco, annuendo con stizza. Ricciardi non ne è sorpreso, né si cura di mostrarsi tale.

«Vorrà dire che andremo a porgere le nostre condoglianze di persona, più tardi.»

L'altro si lascia quasi scappare di mano la porta e sembra sul punto di protestare, ma si rimangia visibilmente ogni commento, anche se la sua occhiata sbieca è più eloquente di mille parole.

Ricciardi lo ignora e si ravvia i capelli, un gesto più nervoso che utile. Ringrazia il brigadiere con un cenno del capo mentre oltrepassa la porta, entrando infine nell'atrio monumentale della struttura.

L'atmosfera, là dentro, è opprimente a dispetto degli alti soffitti e della luce soffusa che filtra dalle ampie finestre. Vi è un accalcarsi di iconografie fasciste in ogni angolo, dalle aquile ad ali spiegate in cima alle false colonne, ai fasci littori sul cornicione del soffitto, ai gessi classici atteggiati in saluti romani che sembrano sbucare dal nulla, alle teche ingombre di emblemi militari commemorativi.

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