V. La luce delle lanterne (e quella delle lampare) - Parte 1

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          Bruno non abita esattamente dentro i Quartieri Spagnoli, ma al loro confine estremo, dove stanno ultimando di costruire le Regie Poste fasciste; fatto di cui il medico si lamenta con regolarità da circa sei anni.

Ciò evita a Ricciardi di dover tagliare per i vicoletti bui e claustrofobici del quartiere popolare che, nonostante non siano nemmeno le dieci di sera, con quel freddo rigido di metà marzo si presentano innaturalmente deserti.

Imbocca a colpo sicuro la stradina in leggera salita e raggiunge la breve rampa di scale che conduce al portone d'ingresso della sua palazzina, salendo i gradini a due a due. Una volta in cima, si scruta attorno col fiato corto, sentendosi fin troppo esposto lassù. Avrà incontrato al massimo tre persone in tutto il tragitto, ma non può fare a meno di sentirsi osservato, come se avesse un fucile invisibile puntato sulla nuca.

Arrivato alla grata esterna, si affretta ad aprirla con la chiave che Bruno ha avuto la lungimiranza di dargli quando il loro rapporto si è complicato. Si infila oltre le sbarre e la richiude dietro di sé senza farla sbattere, affrettandosi poi verso il piano e la porta del suo appartamento. Bussa più piano che può, ritenendo inaccettabile, anche in quella situazione, entrare in casa sua senza preavviso usando l'altra chiave, quando magari lui si è già coricato. Gli farebbe prendere un infarto.

Lascia passare quasi un minuto intero di silenzio, prima di riprovare, un poco più forte.

«Chi è?» si leva subito la voce di Bruno, stavolta senza esitazione ma con un picco di allarme.

«Sono io, apri,» risponde lui, quasi in un sussurro.

Rumore di passi scalzi dall'altro lato, poi il cigolio del chiavistello, e la porta si schiude in fretta di un singolo centimetro, appena il necessario per sbirciare fuori. Nel constatare che è davvero lui, il medico allarga lo spiraglio, pur rimanendo mezzo celato dietro lo stipite.

È prevedibilmente colto alla sprovvista, in canottiera e senza nemmeno una veste da camera addosso, con pieghe di preoccupazione che gli segnano gli angoli delle labbra. A dispetto della sua accoglienza tutt'altro che calorosa, anche solo vederlo lo fa sentire più padrone di sé.

«Ohi, Riccia',» lo saluta, affatto gioviale come è di solito. «Che è successo? Mi hai fatto venire un cardiopalma, pensavo che mi stavano venendo ad arrestare.» Si acciglia ancor di più una volta che l'ha scrutato da capo a piedi. «Oh, prendi fiato, che sei stravolto. Ma che fai, hai corso?»

«Sì. Non c'è tempo, devi venire con me,» ribatte lui, col fiato ancora un po' spezzato e cercando di rimandare il momento in cui dovrà dargli spiegazioni. «Muoviti, che è urgente.»

«Sì, mi pareva di intuirlo dal fatto che mi stai per stramazzare davanti casa,» lo rimbecca lui. «Dammi un secondo.»

«Bruno...»

Lui spalanca del tutto la porta con fare esasperato.

«Vuoi che esca in questo stato, così ci arrestano sul serio per atti osceni?» sbotta, accennando alla sua tenuta in canottiera e mutande; Ricciardi porta una mano al volto, strizzandosi le tempie in un moto insofferente.

«Basta che ti sbrighi.»

«Entra un attimo,» scuote la testa Bruno, tirandolo per una manica. «Non starmi piantato lì sulla soglia, che sei peggio di un lanternino per la buoncostume.»

Ricciardi oppone resistenza, solo per cedere quasi subito: in fin dei conti, è meglio che farsi vedere lì davanti e, se pure qualcuno li ha visti, il danno è ormai fatto. Accusa all'istante la vampata di caldo che lo investe dentro l'abitazione, dopo la corsa nel freddo notturno.

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