XIII. Il lupo è il pastore (e gli uomini il gregge) - Parte 4

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          Un secondo.

Un singolo secondo è tutto il tempo concesso a Ricciardi per incamerare le parole appena udite, comprenderne il significato, le possibili implicazioni e adoperarsi a replicare in maniera sensata prima di insospettire la guardia di stanza; e prima che a Maione salti in testa di replicare lui stesso seguendo l'istinto.

«Perdonate il mio sottoposto,» pronuncia, una frazione d'istante prima che questi apra bocca, «non l'avevo informato della mia decisione. Sono al corrente del rilascio di Iannello, ma ero passato a premurarmi che si fosse svolto senza ostacoli di sorta.»

Nel parlare, assume quella postura e affettazione un poco saccente che pensa calzerebbe addosso a qualcuno che sa di potersi permettere d'insidiare le proprie parole con minacce velate; lo stesso con cui, s'immagina, Falco o qualcuno dei suoi deve aver ordinato quello stesso rilascio poco fa.

La guardia ripiega il giornale a metà, poi in quattro, e si rassetta composto sulla sedia, le dita ossute serrate sulla carta. È in allerta, adesso, a dispetto delle palpebre pesanti e dell'espressione bovina e fiacca, accentuata dal volto allungato. Lo squadra con improvviso timore, gli occhi azzurrognoli che si tingono di sospetto e la mano libera che va a rassettarsi il colletto della divisa, come fosse diventata troppo stretta.

«Certo, commissario. Tutto si è svolto secondo procedura, esattamente come richiesto dal vostro collega,» dice infine, con una voce impostata che suonerebbe meglio in un'aula di tribunale sotto giuramento. «Beniamino Iannello è stato rilasciato per insufficienza di prove, con un nullaosta firmato da voi e controfirmato dal questore Di Resta.»

Ricciardi serra la mascella in due scatti nervosi: prima, alla menzione del suo "collega", di certo qualche sgherro di Falco; poi alla sua presunta firma e al nome del questore, che dubita abbia visionato alcunché, a meno di non supporre un coinvolgimento così in alto. Solo l'OVRA potrebbe ottenere l'avallo di un questore o fingerlo senza ripercussioni; o meglio, ferendo lui, che adesso, ufficialmente, ha scavallato l'autorità di Garzo alle sue spalle.

«Grazie mille, agente. Era ciò che volevo sentire,» risponde con un sorriso rigido che lascia spenti gli occhi, ma con gran sollievo di questi, che si rilassa contro lo schienale e ha un fremito delle dita, come a voler riaprire il quotidiano. «Buona serata. Maione,» fa un cenno del capo al brigadiere e si avvia verso l'uscita a falcate rapide, seguito dallo sguardo di nuovo disinteressato della guardia.

Non appena varcano la soglia, Maione gli si fa accanto.

«Commissa', ma che diamine succ–»

Ricciardi ruota sui tacchi a fronteggialo, troncandolo sul nascere:

«Succede che io sono un ingenuo e che m'hanno gabbato come uno scolaretto.»

Si comprime la radice del naso tra pollice e indice, strizzando gli occhi, sotto lo sguardo sgranato di Maione.

«Dio, Raffae'...» esala, senza più motivo di nascondere l'angoscia. «T'ho pure coinvolto in questo caso maledetto, e ora...»

«Commissario, per cortesia,» lo anticipa Maione, alzando un palmo perentorio a frenarlo. «Non ricominciate. Se io sto qua è perché voglio starci. Ora, però, spiegatevi, ché l'ho capito da me, che non v'hanno fatto un favore rilasciando l'unico sospetto per voce vostra, ma mi sfugge il pretesto.»

Ricciardi annuisce appena, stanco, e lascia scivolare la mano dal volto, avvertendola molle e bizzosa al contempo.

«Il pretesto è tenermi in scacco senza colpo ferire.»

Nel parlare, si scosta dall'ingresso del carcere, portandosi un poco più appartati in quel vialone scoperto che lo fa sentire troppo osservato tra lo sferragliare dei tram che lo percorrono. Tra i fili aerei che tagliuzzano il cielo, si inizia a scorgere l'azzurro più intenso del pomeriggio inoltrato.

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