XIV. Io ti terrò la mano (tu tienimi l'anima) - Parte 3

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          L'ha detto ad alta voce, imbottigliandosi su una nota stridula che non gli appartiene. Il cuore si trasforma in un timpano cupo nella gabbia toracica. I passi di Bruno si fermano.

«Lo sapevo da prima,» ripete, più piano, scandendo ogni sillaba e sentendola pesare come piombo sulla lingua.

Un fruscio di vestiti. Poi, lo scatto della porta che si chiude. I passi, da più tenui, aumentano d'intensità, finché non scorge la sua sagoma di fianco a lui e avverte il lieve spostamento d'aria addosso.

«Cos'è, che sapevi da prima?»

L'aria arde, gli brucia i polmoni.

«Di Annina.» Non riesce a guardarlo in faccia, tiene gli occhi puntati oltre il velo fumoso della tenda. «Lo sapevo da prima, che era là sotto. E non me l'ha detto nessuno.»

C'è un battito di silenzio così assoluto che la sente, là sotto, a urlare oltre metri di tufo e muratura. Bruno posa a terra la borsa e ha il suono di un macigno che si schianta a valle; e anche di un'ancora che viene di nuovo infissa sul fondale.

«E allora come facevi a saperlo?»

Lo sa già, anche senza guardarlo, che Bruno riesce a scorgere la luce della follia nei suoi occhi; lo sa, che lo sta analizzando come si analizza un paziente bizzoso e indecifrabile.

«Bruno...» gli si spezza la voce a tradimento.

Strizza la bocca e si rifiuta di guardarlo, premendosi un palmo sul volto a nasconderlo e a frenare suoni che non gli appartengono.

«Non ho alcun accordo segreto col Partito, non... non so nemmeno come puoi pensare una cosa del genere di me,» sbotta, con ira repentina che gli scotta le guance.

Vede un lampo di pentimento passare sul volto di Bruno; seguito dalle sue mani che cingono le sue in una stretta impalpabile che non rifugge. Gliele scosta dal volto.

«Non la penso,» dice, semplicemente, «era un'ipotesi che ho scartato dal principio, mi pare ovvio. Sono cose che ho pensato perché non sapevo cos'altro pensare. Così come quella che tu potessi essere l'assassino di una bambina. O un assassino, in generale.»

Ricciardi lo guarda interrogativo, a quell'ultima aggiunta, e Bruno scuote la testa.

«Ho pensato che, magari, potevi aver ucciso chi ha ucciso Annina. Riccia', io non ho nulla su cui basarmi, se non sapere cosa è assolutamente impossibile. Ma questo sarebbe stato più comprensibile di tutto il resto, per quanto... assurdo.»

In tutta risposta, Ricciardi butta via un respiro contratto, con un sorriso amaro come fiele che gli tira le labbra.

«Non ucciderei mai nessuno, Bruno. Per nessuna ragione al mondo,» sussurra, gettando di nuovo lo sguardo oltre la finestra. In strada, i passanti velati dalla tenda appaiono non dissimili dalle sagome evanescenti dei fantasmi. «La morte porta morte e nient'altro. Non credo nella giustizia di sangue, io. E tu dovresti saperlo più di tutti, se davvero mi conosci così bene.»

Bruno, in tutta risposta, porta le sue mani alle labbra, premendole sulle sue dita in un gesto che vale più di mille parole. Non ne pronuncia alcuna. Rimane soltanto a capo chino di fronte a lui, respirando quelle scuse silenziose tra le sue falangi.

Sta respirando anche per lui, in quel momento, perché si sente la testa leggera e assalita da capogiri intermittenti.

«Hai altre ipotesi assurde, Bru'?» tenta di scherzare, anche se la voce gli esce tremolante e affatto ilare. «Sarebbe il momento giusto per dirle.»

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