XII. Una vendetta, una speranza (o forse solo un po' d'amore) - Parte 4

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          Ricciardi non sa, invero, cosa sarebbe meglio tacere a Livia e cosa no.

Sa solo di non poterle rivelare tutto; non per una mancanza di fiducia nei suoi confronti, ma perché teme come Falco potrebbe utilizzare quelle informazioni. Magari, anticipandolo e decidendo subitaneamente di far trasferire Iannello, o di passare la soffiata su Esposito a Garzo e procedere a rintracciarlo, strappandogli di mano anche l'unica carta vantaggiosa che ha.

Non menziona, dunque, il Munaciello come tale; anche perché Livia sta dando prova di avere infinita pazienza, ma non tanta da sopportare anche i suoi sproloqui riguardo a come una storiella popolare s'intersechi a quel caso; né vuole darle ulteriori motivi per farle dubitare della propria sanità mentale.

Si limita a parlare di Gigliolo, dei mille fili che sembrano convergere verso di lui in una fitta trama in cui è semplice rimanere intrappolati.

«L'OVRA non condonerà mai la mia linea d'azione, questo mi è chiaro,» dice infine, mentre Livia ascolta in silenzio, una linea di concentrazione che le incide una fossetta sulla guancia. «Ma, forse, la prospettiva di poter trarre vantaggio da questo caso li frenerà per il tempo necessario che mi serve.»

Livia non commenta quel fatto, ma le legge in volto che è scettica; e non può darle torto.

«Se tutto va come deve andare, c'è la possibilità di ripulire il nome di Gigliolo da ogni sospetto di pederastia e di dipingerlo come un sant'uomo che ha fatto della carità la sua ragione di vita, a dispetto del peso della guerra e della morte del figlio. Oltre che di catturare il vero assassino suo e della bambina. Se è chi penso io, ovvero un ex-militare in disgrazia, potrebbe anche fornire qualche appiglio di propaganda contro la vecchia guardia di Caporetto... qualcosa che dia sostegno alle loro teorie sull'efficacia del bastone contro un popolo di imbelli. E una possibile leva favorevole per i loro rapporti col clero, col fatto che il ruolo dell'Annunziata è tutt'altro che limpido in questo affare. Scommetto farebbe loro comodo poter sfruttare ombre simili per i loro giochi di potere in Vaticano.»

La donna sospira e intreccia le dita in grembo, le unghie laccate di borgogna che mandano riflessi alla luce del lampadario sopra di loro. Guarda fuori dalla finestra, verso i tetti rossicci della città che s'inerpicano in verticale. Infine, scuote appena la testa, i capelli scuri e laccati che le ricadono sulla guancia.

«Mi sembra di sentire uno dei discorsi di Piazza Venezia alla radio, Luigi.»

Lui incassa la frecciata, fin troppo consapevole di quanto si sta esponendo, lui che dalla politica s'è sempre tenuto ben lontano. La sua è una linea d'azione che Bruno ripugnerebbe, ne è certo; ma, se può servire a tenerlo al sicuro, almeno per un po', e a permettere a lui di procedere con le indagini e donare pace allo spettro di Annina, è più che disposto a sporcarsi le mani.

Replica senza inflessione, come stesse leggendo una parte già scritta:

«Sarà la naturale conseguenza di chiudere il caso come dovrebbe esser chiuso. Io non voglio omettere o manipolare nulla: voglio solo trovare il colpevole e inchiodarlo. Il mio lavoro è questo. Il resto è fuori dal mio controllo e, in tutta franchezza, me ne infischio di come decidono di sfruttarlo. Se può anche fungere da tutela per Bruno e me, tanto meglio.»

Coglie un lampo di rimprovero, o forse è delusione, sul volto di Livia, ma lei non proferisce parola. Si limita a fissarlo e a fare un piccolo cenno del mento, invitandolo a continuare e tenendo per sé parole di biasimo che, forse, meriterebbe di sentire in tutta la loro asprezza.

Pochi altri minuti di minuziosa spiegazione più tardi, col racconto di quanto accaduto all'Annunziata e nei vicoli della Sanità, oltre che alle minacce a Caterina, Livia emette il suo verdetto tagliente:

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