VIII. Chi per strada va (per strada muore) - Parte 2

59 5 48
                                    


          I vicoli di Napoli sono più cupi, nell'ora che immediatamente precede il tramonto, ancor più di quando il rosso viene del tutto divorato dalle onde del golfo e cala la notte; allora, i lampioni si accendono e gettano i loro aloni di luce dorata a rischiarare i vicoli. Il crepuscolo, invece, è denso, brulicante dei grigi e blu che diventano via via più corposi inghiottendo i colori.

Ricciardi non ama quell'ora dai confini così poco discernibili, dello stesso colore dei fantasmi. La ama ancor meno mentre scende dagli scaloni ripidi della Sanità, col rischio di finire addosso a qualcuno svoltando un angolo stretto, o di scivolare sui liquami che dalla canalina di scolo invadono a volte la strada.

Anche l'aria sembra essersi rappresa, più umida e carica di odori; il lezzo di fogna lo prende a tratti alla gola, mescolato all'odore più gradevole di cucinato che trapela dalle finestre e a sbuffate sporadiche di salsedine o zolfo, più rare e lontane.

Si ferma di colpo in un vico nascosto schiacciato tra due edifici, accusando una fitta così intensa d'emicrania che si ritrova a strizzare gli occhi come se gli avessero sferrato un colpo sulla nuca. Si addossa al muro e si schiaccia una mano sulla fronte, rilasciando un respiro contratto.

Ha la testa pesante di parole e di pensieri: la colmano fino all'orlo, strabordano, sembrando perduti, e poi trovano il modo di rientrarvi a cascata, in un ciclo infinito che gli rende difficile anche solo vedere dove sta andando.

Non lo sa nemmeno, dove sta andando. Si rende conto di non riconoscere con esattezza dove si trova, anche se intuisce che Discesa Sanità sia a qualche traversa appena. Guarda l'orologio e sussulta: sono quasi le sette di sera. Si è attardato a lungo in giro seguendo dove lo portavano i piedi nel tentativo di domare l'ansia, dopo essere uscito dal basso di Bambinella, ma non credeva fino a quel punto.

Dovrebbe passare in Questura per convocare Caterina Gigliolo e verificare se Maione ha cavato fuori qualche novità dalla sua misteriosa indagine parallela; ma chissà se è ancora lì ad aspettarlo o è tornato a casa. Lo spera.

Oppure, dovrebbe andare ai Pellegrini, da Bruno, per discutere ancora di Annina, la cui figura minuta si è tramutata in una fiera acquattata nell'ombra; ma s'è fatto ormai tardi e sa che il medico ha staccato almeno da mezz'ora. Se vuol parlare con lui, deve per forza andare a casa sua. Non un'opzione congrua, dopo quanto gli ha detto Bambinella.

Rimane fermo lì, fremente sotto il riquadro di luce di una finestra, col freddo serale che risale dal basso e gli morde le ossa. A perdere altro tempo. Tempo che non ha, né ha mai avuto.

Gli sembra che ogni sua prossima mossa potrebbe farlo cadere nella fossa dei leoni. Sebbene una parte di lui vorrebbe solo fiondarsi all'Annunziata a pretendere spiegazioni su quali sordidi affari conducesse lì Gigliolo, sa di avere le mani legate.

Può solo sperare di interloquire con Suor Agnese, se gli riesce di intercettarla e interrogarla su quel Munaciello, ma tentare vuol dire esporsi, rischiare di attirare ancor più l'attenzione, di sprofondare in quel pantano fetido in cui è entrato a testa bassa senza curarsi delle conseguenze e degli avvertimenti.

Vorrebbe, più di ogni altra cosa, cercar consiglio in Bruno, che in quelle situazioni riesce o a essere molto più freddamente pragmatico di lui, quando si lascia vincere dall'emotività; o, al contrario, a suggerirgli azioni di pancia quando lo vede troppo impastoiato nei propri schemi mentali.

Non può farlo, adesso, non senza l'impressione di essere spiato. Cerca di non pensarci mai troppo, al mondo ostile che circonda lui e i sentimenti che ingabbia nel petto; ma sa che esiste e che la sua scelta di non fissarlo troppo a lungo non lo rende meno reale. Non v'e alcun confine, tra lui ed esso, né vero né immaginario, né potrebbe mai tracciarne uno.

La Ruota degli AngeliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora