XV. Gli incubi (erano solo segreti non detti) - Parte 3

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          Maione squadra Cristiano con lo stesso sguardo sospettosamente affilato che riserverebbe a un delinquente incallito con la fedina penale chilometrica. Lo scugnizzo, dal canto suo, ricambia con la tipica impudenza di chi ha alle spalle ben più di qualche sessione di tiro al bersaglio con fango e pietruzze a scapito di un poliziotto.

Lo scambio di occhiatacce termina quando Ricciardi si schiarisce la gola, riportando l'attenzione di entrambi su di sé.

«Cristiano, che ci fai qui?»

«Seguivo a vuje, commissa'.»

Lo dice con un'alzata di spalle che comunica ovvietà e, forse, un poco di dubbio rispetto al supposto acume di un ufficiale di polizia.

«E da quando seguire degli ufficiali di polizia sarebbe un passatempo?»

Maione tiene il berretto per la tesa e lo fa tamburellare in un ritmo distratto sul palmo dell'altra mano, in una chiara e sottintesa minaccia al ragazzino; che, in risposta, arriccia il naso e storce la bocca:

«V'aggio visto ca sete trasuti da 'o ricchione travestito e...»

«Uè, giovanotto!» Maione, con la sveltezza propria di chi ha cresciuto cinque figli, gli appioppa uno scappellotto sulla nuca. «Sciacquate 'a vocca prima di parlare di Bambinella! Ché così le posso parlare solo io, al massimo,» aggiunge subito, schiarendosi la voce quasi a giustificarsi.

Cristiano si strofina con fare esagerato il collo, anche se l'ha a malapena sfiorato, poi rivolge lo sguardo a lui:

«Commissa', ma voi a chist' non gli dite niente?»

Ricciardi alza un poco le sopracciglia, guardandolo fisso.

«E che gli devo dire? È stato più svelto di me.» Al teatrale strabuzzar d'occhi dello scugnizzo, si ricompone: «Cristiano, noi qui non stiamo giocando. Se hai qualcosa da dirci, dillo, altrimenti vattene da un'altra parte e non starci tra i piedi.»

«Non sto giocando manco io,» s'indigna Cristiano, di nuovo serio e dimentico d'ogni screzio. «È solo che l'altra volta tenevo paura a dirvi tutto e a portarvi qua. Però mo' ci siete venuto da solo, e quindi mo' v'aggio a dicere pe' forza. Sennò le cinque lire ve le devo ridare.»

Ricciardi nota solo ora che le scarpe di Cristiano sono ancora quelle consunte e scollate dell'ultima volta che l'ha visto; potrebbe pensare che abbia speso i soldi in cibo o altro, ma qualcosa gli dice che il ragazzino è sincero.

«Nun sto pariando, v'agg' ritt'!» sbotta Cristiano, spazientito.

«Ti crediamo,» lo tranquillizza Ricciardi, scoccando un'occhiata eloquente a Maione, che sembrava sul punto di contraddirlo. «Cristiano m'ha già dato indizi utili sul Munaciell-»

«Shh!» esclama all'istante il ragazzino con l'indice davanti alle labbra, spalancando gli occhi e guardandosi di scatto alle spalle, in direzione della statua decapitata di san Vincenzo. «Che ve volesse fa' pizzica' da chillo?»

Ricciardi si acciglia, a quella reazione scomposta, e anche Maione evita di rimbrottarlo per quell'eccesso di confidenza.

Cristiano ha sempre dimostrato, anche durante il caso di Tetté, una certa flemmatica impassibilità dinanzi agli eventi più tragici, sebbene tenda a esprimersi con molta foga su ciò che gli sta a cuore. Non ricorda di avergli mai visto esternare alcun timore; eppure, la scintilla scura che rende mobili i suoi occhi è inconfondibile, accentuata dalla luce soffusa proveniente dal finestrone alle sue spalle, che sembra rendere solida l'aria solcata da particelle di polvere.

La Ruota degli AngeliWhere stories live. Discover now