1. BIANCA

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Quando passai davanti alla banca per cercare parcheggio, ebbi subito una pessima sensazione. La strada desolata, l'afa nonostante fosse metà maggio e quell'omone davanti all'ingresso che, con aria indifferente, non si schiodava da lì, mi inquietarono. Erano trascorsi molti mesi dall'ultima volta in cui avevo dovuto mettere piede lì dentro, ma quella volta non potei esimermi. Il conto aveva un urgente bisogno di essere rimpinguato. Ricordai con minuzia di particolari la claustrofobia che mi assaliva ogni volta che varcavo la soglia di quel bunker sopraelevato; avevo chiesto all'editore di pagarmi con un bonifico ma, le rare volte in cui mi spettava qualche compenso, si ostinava a inviarmi degli assegni.
Trovai parcheggio a un centinaio di metri, davanti alla fermata dei bus. Esitai prima di scendere dall'auto, attirando senza volerlo l'attenzione di chi era in attesa del 701. Finsi di cercare qualcosa nella borsa, poi di rispondere a un messaggio su WhatsApp. Cercavo invece un appiglio. Ricordai che qualche anno prima c'era stata una rapina in quella banca, proprio di pomeriggio. In realtà le rapine si erano susseguite per qualche tempo, finché non avevano deciso di togliere le tendine dalle vetrate che davano sulla strada per lasciare l'interno della struttura a vista. Avrei guardato dentro prima di entrare, anche se sarebbe stato meglio seguire il mio istinto e voltare i tacchi. Sapevo bene che le sensazioni non ci tradiscono quasi mai; quei pensieri fuggevoli, che talvolta divengono solidi come certezze, mentono assai di rado. Purtroppo bisogna credere molto in se stessi per non scambiarli per paranoie e io, in quel periodo, non avevo un'alta considerazione di me.
Raccolsi l'assegno e la distinta compilata sul sedile accanto, avevo bisogno di quel denaro per poter riattivare il bancomat; mi feci coraggio ricordando che non mi trovavo nel Texas ma in provincia di Milano e i rapinatori, da noi, non fanno molto baccano. Agiscono veloci e vanno per la loro strada. I clienti della banca non li guardano nemmeno in faccia, mi ripetevo, e io non avrei fatto nulla per ostacolarli, non sono certo una paladina della giustizia. E nemmeno una veggente, per cui la fantomatica rapina avrebbe avuto luogo soltanto dentro di me. Mi avrebbe distratto dall'ansia.
Osservai la vera di diamanti che portavo all'anulare sinistro accanto alla fede nuziale. Mi domandai se dei ladri trafelati l'avrebbero notata; mi sarebbe dispiaciuto vedermela sottrarre, non fosse altro che per il legame affettivo che nutrivo per quell'oggetto, in quel momento così luccicante grazie ai riflessi del sole. Emanuele me l'aveva regalata all'inizio della nostra relazione extraconiugale e da allora non me ne ero mai separata.
L'energumeno ciondolava placido accanto alla soglia d'ingresso; buttai un occhio dentro e non scorsi nessun uomo armato. Depositai la borsa nella cassetta di sicurezza, presi in mano l'iPhone ma poi lo lasciai giù; ero stufa di dipendere da lui. Attraversai il metal detector trattenendo il fiato. Pochi istanti e fui dentro. In sala d'aspetto c'erano due ragazzi assorti nei loro smartphone, guardai l'orologio, da lì a dieci minuti mi sarei dovuta trovare davanti all'asilo di Emma. Un'inguaribile ritardataria, ecco cos'ero; la mia povera bambina era sempre l'ultima a lasciare la classe. A volte arrivavo così tardi che finiva nel gruppo del doposcuola, le maestre avevano anche smesso di richiamarmi. Ero senza speranze.

RapitaWhere stories live. Discover now