17. L'INSEGUIMENTO

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Da alcuni giorni Gloria appariva inquieta. Non dava più retta a Manuel, era tutta presa dal mio rapimento. Ne parlavano in molti programmi TV e lei trascorreva le giornate a seguire tutta la vicenda. Aveva partecipato anche a qualche veglia in mio onore.
«Perché ti sta tanto a cuore questa storia?» le chiese Emanuele mentre si preparava per andare da Gabu. Si erano già appostati i due giovedì precedenti ma non era accaduto nulla; i rapitori non si erano visti o se l'erano squagliata indisturbati.
«Perché lei tornerà.»
«Come puoi dirlo?»
Cercava nelle parole della moglie quel conforto che ormai non trovava più da nessuna parte. In cuor suo, mi dava per spacciata.
«Tornerà. Ma quando lo farà, non sarà mai esistita.»
Emanuele pensò al traffico illegale di organi. Non sapeva se fossi iscritta o meno a un'associazione di donatori, ricordava solo che un cugino al quale ero molto legata era stato presidente dell'AIDO; l'idea che avessi un organo compatibile con quello malato di un multimiliardario, e che mi avessero rapita su commissione, gli sembrò l'ipotesi più plausibile.
«Quando tornerà, noi saremo di nuovo felici» continuò Gloria.
«Ma ti stai ascoltando?» sbottò. «Hai bisogno di uno psichiatra, al più presto!»
Emanuele uscì sbattendo la porta, guardò in cagnesco la dirimpettaia, che come sempre non si faceva gli affari suoi. Era furioso. I giovedì prima non era accaduto niente; il piano di Gabu faceva acqua da tutte le parti.
Birra, puntualizzò Gabu insinuandosi tra i suoi pensieri; i miei piani al limite fanno birra.
Andò a prenderlo in moto.
«Se non succede niente neanche 'stasera, ce ne andiamo da Madame O» esordì Gabu appena prese posto in moto.
«Andiamoci subito... Non incontreremo nessuno, è impossibile beccarli. Con tutte le entrate della metro e tutta la gente che circola a quest'ora» disse scoraggiato.
«Loro sono ancora qui. Sono stati visti. Mi gioco i coglioni che per andare in quel loro buco di merda devono passare da Piola. Sull'orario, ecco, non metterei le palle sul fuoco.»
«Possono essere passati da qui cento volte, li abbiamo visti in quattro cazzo di fotogrammi. Non sappiamo neanche che facce hanno, Cristo Santo, è ridicolo questo appostamento.»
«Al Tropicana fanno un Mojito che è uno sballo. Ci facciamo prima un paio di birre, poi ci scoliamo il Mojito e se va come dici tu, andiamo a farci consolare da madame O» insisté Gabu.
Si diressero in piazza Piola pregustando il massaggio che avrebbero ricevuto qualche ora più tardi. Quella donna aveva le mani fatate. Bastava che ti sfiorasse per fartelo venire duro come granito. Non era bellissima, ma possedeva un fluido che non apparteneva a questo mondo.
Arrivarono al Tropicana alle cinque in punto. Il tavolo a ridosso dell'entrata della metro era ben apparecchiato. Si fecero portare subito due birre a testa.
«Non è naturale tutto questo caldo» notò Gabu mentre tracannava la prima media.
«Stavo per chiederle di...»
«Non dirmelo» lo supplicò.
«Volevo chiederle di lasciare suo marito e venire via con me.»
«Ma perché, Gesù, perché fai di tutto per rovinarti la vita?»
«Sono pazzo di lei, Gabu.»
«Tu sei pazzo e basta, anzi un coglione! Accollarti una donna così! Quella tra un mese va in menopausa. Puoi avere tutte le donne che vuoi, guardati: sei un bell'uomo e hai pure il fascino del violinista. Perché impegolarsi con una donna sposata, con una figlia, così stronza che si fa pure rapire! Mi viene il mal di testa solo a pensarci» disse frizionandosi la fronte. «Il mondo è pieno di bei culi giovani, Emanuele!»
«Parli così perché non ti sei mai innamorato.»
Gabu rifletté qualche istante, poi confessò: «Mi piace troppo la figa per innamorarmi.»

D'un tratto si fece serio.
«Non girarti. Al tre scatta» ordinò a denti stretti.
Emanuele impallidì. Conosceva quella luce negli occhi dell'amico.
«Tre!» tuonò e si mise a correre all'impazzata.
Superarono la folla a gomitate, Emanuele non capiva, ma si accorse che qualche metro più avanti qualcuno scappava. Due ragazzi scesero le scale a precipizio.
«Sono loro?» urlò Emanuele annaspando dietro di lui.
«Zitto e corri!» sbraitò Gabu, sforzandosi di rendere acuta quella sua voce rauca.
I due ragazzi scavalcarono i tornelli, dopo qualche istante Gabu e Emanuele fecero la stessa cosa.
Gabu gli stava alle calcagna, fu lì lì per acciuffarne uno quando i due si buttarono in mezzo ai binari; li attraversarono un attimo prima che arrivasse il convoglio. Gabu si precipitò verso la scalinata per portarsi nella direzione opposta. Anni di nuoto eppure Emanuele non aveva abbastanza fiato per reggere quell'inseguimento. Ebbe la sensazione che gli scoppiassero i polmoni. Rallentò, riprese fiato e scese zoppicando la rampa di scale che conduceva ai treni. Guardò l'orologio. Erano le cinque e venti. Quando arrivò sulla banchina, il treno che andava verso la Stazione Centrale era appena partito e Gabu urlava le peggiori bestemmie mai udite prima.
Se li era fatti scappare.
Quella sera non ebbero la forza di andare da Madame O.

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