26. SCHELETRI NEGLI ARMADI

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Emanuele stava per addormentarsi quando udì dei passi pesanti avvicinarsi alla stanza in cui lo avevano relegato dopo l'interrogatorio. La porta si spalancò con un colpo secco contro la parete.
«Andiamo, ragazzo» ordinò Gabu, in alta uniforme.
«Colonnello, cosa pensa di fare qui?» lo ammonì il piantone.
«La moglie di questo disgraziato si è quasi ammazzata per colpa vostra. Lo avete rinchiuso senza un mandato; chi cazzo credete di essere? Per quanto mi riguarda, è rimasto fin troppo in questo buco di culo.»
Gabu consegnò il suo tesserino al piantone, disse: «Ci trovate al San Raffaele».
Prese Emanuele per un gomito e lo trascinò con sé.
«Scusami se l'hai saputo così, ma questo stronzo mi ha fatto perdere il controllo. Comunque è salva. L'hanno messa in coma farmacologico ma dovrebbe superare la crisi nel giro di qualche giorno.»
«Quale crisi? Cos'è successo a Gloria?»
«Si è avvelenata. Dài andiamo.»
Salirono su una volante delle Fiamme Gialle; Gabu diede le coordinate all'autista e partirono a sirene spiegate.

Gloria si era imbottita di psicofarmaci qualche ora dopo il suo arresto. La vicina ficcanaso aveva notato l'insolito silenzio in cui era piombata la casa; sapeva che Gloria non era uscita, ma stranamente non aveva acceso la TV; non si era messa nemmeno a lucidare le finestre, cosa che faceva ogni mattina alle dieci, e nonostante le notti insonni non era abituata a concedersi dei pisolini. Così dopo aver bussato con insistenza alla porta si era introdotta nell'appartamento, che era rimasto aperto. Aveva dato l'allarme non appena aveva trovato il corpo della donna riverso sul letto, con la schiuma alla bocca.
Gloria era stata soccorsa subito; l'avevano sottoposta a lavanda gastrica e, su consiglio dello psichiatra, avevano deciso di lasciarla dormire per qualche giorno.

Gabu scortò Emanuele fino alla stanza in cui era ricoverata la moglie.
«Ti aspetto in corridoio» gli disse, facendosi portare una sedia dall'infermiera. «Prenditi tutto il tempo che ti serve. Me la vedo io con Muscarella» lo rassicurò.
Emanuele ringraziò l'amico, poi entrò chiudendosi la porta alle spalle. Aveva bisogno di restare solo con lei, per tentare di capire cosa fosse accaduto. La vide distesa, con le braccia puntellate di flebo; l'ossigeno al naso.
«Gloria» sussurrò, sfiorandole la mano. Accostò la sedia al letto. Appoggiò il suo volto a quello di lei. «Perché mi hai portato in questo ospedale maledetto, perché lo hai fatto?»
Si commosse al ricordo del loro bambino che si era spento quattro piani più su, nel reparto pediatria.
Contemplò il volto di Gloria; quei suoi lineamenti delicati, accentuati dallo stato di completo abbandono indotto dal coma, lo straziarono. Riconobbe nel suo profilo quello di Manuel.
«Volevi lasciarmi anche tu» disse, sentendosi improvvisamente solo.
Gloria mosse le labbra. Con un sussurro appena accennato pronunciò una strana parola: «Hadassa.»
«Va tutto bene, piccola mia, ci sono qui io» la rassicurò Emanuele.
In maniera quasi impercettibile, Gloria ripeté quella parola; aggiunse: «Il mio bambino.»

Emanuele premette il campanello, per chiedere se fosse normale quel delirio nonostante la sedazione profonda.
Udì un gran baccano provenire dal corridoio. Degli agenti in divisa, con a capo il Commissario Muscarella, irruppero nella stanza al posto delle infermiere, occupate a inveire contro di loro.
Muscarella era schiumante di rabbia, ma appena vide Gloria si placò.
«Questo è un luogo di cura, dove pensa di andare?» lo rimproverò la caposala.
Emanuele si sollevò in piedi, gli rivolse uno sguardo indulgente.
«Il caro Colonnello non la passerà liscia» disse Muscarella, addossato dell'odiosa sensazione di aver profanato un luogo sacro.
«Sai che cazzo me ne frega di te» ribatté Gabu sull'uscio. «Guardalo, ti sembra capace di fare sparire una persona? Solo tu potevi trattenerlo; te l'ho già detto che sei un carabiniere mancato. Questa donna non ce l'hai sulla coscienza per miracolo» lo biasimò.
Muscarella si voltò verso Gabu, disse minaccioso: «Non avresti dovuto comportarti in modo così strafottente, al mio comando di polizia, davanti ai miei uomini». Era fuori di sé.
«Sono già pentito» lo canzonò Gabu. «Ora possiamo lasciare in pace quest'uomo? Sua moglie ha appena tentato il suicidio. E quel paio di scheletri che tieni nascosti nell'armadio tremano all'idea che li scaraventi fuori a calci nel culo.»
Muscarella ordinò a due dei suoi uomini di restare di guardia. Avrebbero scortato Emanuele a casa non appena le condizioni di Gloria lo avessero consentito; gli arresti domiciliari sarebbero stati sufficienti prima di ulteriori sviluppi.
Diede uno sguardo alla donna, sul cui volto andava sempre più delineandosi quella malinconia congenita che avrebbe tramandato a tutta la sua discendenza, in linea femminile. Quella metamorfosi gli procurò un dolore sordo.
«Quanto a lei, Colonnello» disse senza distogliere lo sguardo dalla donna «fingerò che questo incidente non sia mai accaduto. Al diavolo!»
Muscarella voltò i tacchi e lasciò la stanza con un nodo alla gola, non tanto per l'umiliazione subita, quanto per il sentimento scaturito da quella Pietà che neanche Michelangelo avrebbe saputo plasmare meglio.

RapitaWhere stories live. Discover now