4. GIULIO

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«Signor Giulio? Buonasera, sono la direttrice della scuola di Emma. Ho provato a contattare sua moglie, ma non risponde al telefono. Non siete venuti a prendere la bambina; come è già accaduto altre volte l'abbiamo accompagnata nell'aula del doposcuola, ma adesso dobbiamo chiudere» disse seccata.
«Tenetela lì se potete, non avete idea... non avete idea».
La voce di Giulio si ruppe.
«Dove vuole che la teniamo? Mica posso portarmela a casa! Mandate qualcuno entro dieci minuti o chiamerò i carabinieri» replicò indignata, prima di riagganciare.

Appena i rapinatori erano fuggiti con il mio corpo esanime sulle spalle, era stato dato l'allarme. Giulio era stato informato del rapimento prima che le forze dell'ordine giungessero sul luogo dell'accaduto.
«Hanno rapito sua moglie» aveva esordito il commissario di polizia e lui lo aveva preso per uno scherzo. Aveva messo la chiamata in attesa, chiesto alla centralinista del poliambulatorio di informarsi sul responsabile della burla; sarebbe bastato guardare le linee occupate. Poi era tornato alla sua telefonata ed era stato a quello che pensava fosse un gioco.
«Dica pure ai rapinatori di tenersela, ormai non è più buona nemmeno per il brodo.»

Giulio mi aveva sempre amata. In quei vent'anni era diminuita senz'altro la passione, anche lui si portava mezzo secolo di vita sulle spalle e iniziava a essere meno vigoroso, e poi io ero sempre io. Mi aveva ammirato in qualunque posa, con qualunque abito; mi aveva visto piangere, ridere, sorridere, arrabbiarmi, disperarmi, urlare, scappare, scopare, correre, partorire, dormire; conosceva alla perfezione le mie idee politiche e anti religiose, potevamo dialogare telepaticamente ormai, e tutta quella confidenza, quella complicità, ci avevano reso una coppia affiatata, ma che non sapeva emozionarsi più.

«Dottore, mi ascolti: qui la faccenda è seria. C'è stata una rapina questo pomeriggio nella filiale in cui sua moglie ha il conto. Era andata a depositare un assegno firmato da... Cosenza! Passami il fax dell'assegno»! Lo aveva riletto: «Edizioni Montag.»
Nell'udire quei dettagli che nessun collega poteva conoscere, Giulio aveva avvertito un inquietante campanello d'allarme echeggiare dentro di sé.
«Come sarebbe a dire che l'hanno rapita? Le è accaduto qualcosa? Sono un medico, dovete dirmi la verità» disse, pensando al peggio.
«Si calmi, non c'è stato nessuna colluttazione. Solo che i rapinatori non si sono accontentati della refurtiva. Non capiamo il movente, ma si sono portati via sua moglie. Venga al commissariato di Lambrate il prima possibile così le mostriamo le immagini della telecamera di sorveglianza. Forse riconoscerà qualcuno dei malviventi. Hanno agito a volto scoperto. Temiamo che sua moglie sia stata rapita per questo motivo; deve avere riconosciuto qualcuno. Non c'è altra spiegazione.»

Venti minuti dopo, Giulio era davanti al commissario Muscarella in uno stato di totale prostrazione. I ladri avevano racimolato un bottino di diecimila euro, tutto ciò di cui disponevano le casse, e avevano portato via me.

«Non sappiamo perché l'abbiano fatto, lei non li ha ostacolati o indispettiti in alcun modo; si è limitata a svenire dopo aver guardato in faccia uno dei malviventi.»

Osservarono le immagini per molte ore, in assoluto silenzio. I rapinatori non dimostravano più di trent'anni; uno di loro, il capobanda, era stato seduto tutto il tempo, prima di spostarsi sul corridoio e sbarrarmi l'uscita; un altro, l'energumeno che avevo notato all'ingresso, faceva il palo ed era stato ripreso dalla telecamera esterna; il terzo, Pel di Carota, aveva effettuato la rapina armata vera e propria. I filmati confermavano che avevo atteso il mio turno tranquilla; avevo gettato qualche occhiata sui due uomini in sala d'attesa, senza mai rivolgergli la parola, dimostrando così di non conoscerli; poi mi ero avvicinata al cassiere, avevo notato la scena, ero tornata sui miei passi dove, senza volerlo, avevo pestato i piedi a uno dei rapinatori. Ero arrivata di schiena, mi ero voltata, avevo guardato in faccia l'uomo e mi ero scusata. Dopo qualche istante ero svenuta. Subito dopo lo svenimento, i due rapinatori avevano raggiunto il terzo fuori dalla banca, con il mio corpo inerme sulle spalle.
«Mia moglie non è mai svenuta in vita sua» sottolineò Giulio.
«C'è sempre una prima volta, dottore» osservò il commissario.
«Le assicuro che mia moglie ha affrontato situazioni ben più critiche di questa, e non ha mai perso i sensi. Non è il tipo di donna che sviene per la tensione o per il caldo, la conosco fin troppo bene. E poi sono un medico; non si sviene in quel modo.»
Le immagini a video mostravano una donna che di colpo si spegneva, come se le avessero staccato una spina.
«Devono averla addormentata in qualche modo. Ipnotizzata, forse. Qualcosa nel suo cervello ha smesso di funzionare.»

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