15. GABU

241 21 7
                                    

15

Emanuele iniziò a seguire tutti i Tg; chiese a Gloria di aggiornarlo in tempo reale nel caso ci fossero delle novità sul rapimento; se ne stava tutto il giorno incollata alla TV, assorbita da quei programmi pomeridiani in cui oltre ai pettegolezzi ogni tanto scucivano qualche notizia.
«Oggi hanno ripreso la piccola Emma mentre andava all'asilo»  lo informò. «Ha sei anni, come Manuel. Chissà come le manca la sua mamma.»
«E il marito? Lo hanno intervistato il marito?»
«Non rilascia interviste. Anche la nonna, che in questi giorni si occupa della bambina, ha chiesto di essere lasciata in pace.»
Come li capiva, quanto odiava quei giornalisti che sguazzano nelle disgrazie.
Tramite Gabu aveva saputo che ero stata vista a Milano con Dagmos; giravano dei filmati in questura, presto li avrebbero mostrati alla TV; si attendeva solo il miglior offerente. La storia del mio rapimento era diventata di dominio pubblico, in tutta la nazione si moltiplicavano le manifestazioni di solidarietà; sul marciapiede accanto alla banca in cui ero stata rapita, le persone continuavano a depositare fiori e biglietti affettuosi.
Le immagini di cui parlava Gabu non tardarono ad arrivare. La gente doveva sapere. Quando le mandarono in onda, Emanuele e Gloria erano seduti sul divano; si tenevano per mano.
«So dove hanno portato la tua amica» disse lei, con aria stralunata.
Emanuele si voltò a guardarla, trattenendo le emozioni che quel filmato e il mio volto sorridente gli avevano provocato.
«Dove? Dove l'hanno portata?» balbettò.
«La tua amica è finita.»
«Credi che l'abbiano uccisa? In metropolitana?»
«No, lei non è morta. Solo non è più qui.»

Squillò il telefono.
Emanuele si sollevò di scatto, aveva i nervi a fior di pelle. Rispose.
«Come cazzo è che questi sono spariti nel nulla?»
«Gabu, sei tu» sospirò.
«Mi gioco i coglioni che conoscono qualche passaggio sotterraneo. L'occhio umano può anche sbagliare, ma le telecamere no. Se non sono usciti da lì, dimmi tu dove cazzo sono.»
«Sto per diventare pazzo, Gabu. Presto comincerò a dare i numeri, come mia moglie» bisbigliò.
«Sa di Bianca?» domandò sbigottito.
«Certo; sa che ci conosciamo» disse alzando un po' il tono della voce, per farsi sentire da lei. «Mi ha sentito nominare Giulio qualche volta... Come "Giulio chi", il mio allievo! Chissà come sta adesso, non si è fatto più vivo da quando...»
«Certo, un tuo allievo. Che si fotta. Senti, dobbiamo trovare Bianca e sai cosa facciamo? Ci appostiamo. Ho avvisato alcuni amici fidati, gente che mi deve qualche favore... gli accessi a Piola non saranno mai persi di vista finché non salterà fuori il bel culo di quella stronza. Ho sentito un informatore interno, lì a Lambrate: mancano gli altri due all'appello. Se tanto mi da tanto, o qualcuno li ha ammazzati oppure dovranno passare anche loro da lì. Ci sono sbirri in borghese a tutte le fermate, ma è Piola che non va persa di vista.»
«In effetti è strano che siano stati visti proprio lì. Avrebbero potuto prendere la metro più in periferia.»
«È strano sì, porca troia. Rapisci una e poi ti fai vedere con lei a Milano? Pensi che basti una parrucca nera del cazzo a un'ora di punta per renderla invisibile? Senti, domani pomeriggio alle cinque mi apposto in piazza Piola. Conosco un bar proprio all'angolo con via Porpora che fa ottimi aperitivi. Bianca ha preso la metropolitana la scorsa settimana, di giovedì. Quello sarà il giorno in cui stanerò quelle teste di cazzo. Spero che mi farai compagnia.»
«Puoi giurarci» rispose Emanuele zigrinando i denti. Come sempre Gabu, gli aveva offerto una nuova possibilità.

RapitaWhere stories live. Discover now