23. HADASSA

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Nell'udire quelle parole, Smilliu impallidì.
Emise un sibilo rivolgendosi a Israel; egli annuì.
«Detto, mille, anni? Duemila, tu, viene?» disse sbalordita.
«Sì, vengo dal duemiladiciassette. So che può sembrare assurdo, ma vengo da un lontano passato.»
«Viaggi, tempo, no, tanto, normale, ma, è; Professore, viene, viaggi, duemila» disse eccitata, pronunciando le parole a fatica. I suoi pensieri scorrevano come un fiume in piena ostacolato dal linguaggio.
«Vuoi dirmi che sai di qualcun altro che ha viaggiato nel tempo?»
Smilliu annuì energicamente, poi tradusse con un breve sibilo a Israel, la cui scacchiera gli illuminò il volto.
«Andare, da, Professore.»
«Quale Professore? Dove?» mi guardai intorno.
«Lontano, qui, due, giorni, cammino» disse indicando un punto a nord ovest.
«Camminare due giorni...» sospirai. «Mi reggo a mala pena in piedi. E poi non voglio allontanarmi. Lassù» indicai la città alta «c'è la porta del tempo che mi ha portato qui, contro la mia volontà. Sono stata rapita! Devo tornare a casa. Devo tornare da mia figlia, da mio marito.»
La vista mi si offuscò, la nausea tornò prepotente. Barcollai, poi svenni di nuovo.

Quando mi ripresi, Israel era seduto accanto a me. Tamponava il sangue che perdevo dal naso.
Mi trovavo dentro una tenda; poco distante Smilliu intratteneva una discussione telepatica con una giovane donna che, dai tratti e l'abbigliamento, sembrava provenire dalla città alta. Israel attirò la loro attenzione emettendo un sibilo. Le donne si avvicinarono; si adoperarono per produrre quello che somigliò a un sorriso.
«Lei, Hadassa, amica» annunciò Smilliu, con una delicata nota di orgoglio nella voce.
Osservai Hadassa; dal suo sguardo traspariva una dolcezza di una levatura sconosciuta.
«Lei, aiuta, noi, quaggiù. Aiuta, umanitaria» continuò Smilliu. «Tu, andare, da, Professore. Lui, medico. Gicocologo.»
«Un ginecologo? Lo vedi da dove perdo il sangue? Cosa c'entra un ginecologo?»
Il Professore ti aiuterà, intervenne una voce pacata tra i miei pensieri.
Era Hadassa.
Sono qui per aiutarti, disse con gli occhi lucidi, fidati di me.
Qualcosa doveva averle provocato uno tsunami di tristezza, riconobbi nei suoi occhi il pozzo senza fondo che mi aveva fatto capitolare con Emanuele.
«Devo tornare alla città alta. Voglio tornare a casa» la implorai.
Non puoi tornare a casa in queste condizioni. Devi prima curarti, disse tra i miei pensieri.
Smilliu e Israel mi guardarono con apprensione.
«Mi curerò a casa mia! Divento pazza se resto un altro minuto qui». Una fitta atroce mi squassò il cranio, tramortendomi.
La pietra galleggiante dietro di lei volteggiò fino a me. Sembrava un piccolo pianeta in orbita intorno al proprio sole. Si frappose fra me e Hadassa. La osservai affascinata per alcuni, lunghi minuti finché una sensazione terribile mi attraversò le viscere.
«Sono... sono malata. Dio mio, sono spacciata» chiusi gli occhi. Il pensiero che non avrei più rivisto la mia bambina, che non avrei potuto salutarla, dirle: "Ciao amore, la mamma va via contro la sua volontà. Ti amo bambina mia, non conoscevo il significato della parola amore prima di incontrare te. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata. Non dimenticarmi mai", mi trascinò in un abisso di disperazione fino allora sconosciuto. Mi sembrò di annegare.
Non so chi ti abbia portato qui, ma chi lo ha fatto ti ha salvato la vita.
Quelle parole mi diedero il coraggio di riaprire gli occhi; la pietra fluttuava placida davanti a me; sembrava racchiudere tutti i segreti dell'umanità, dagli albori alla sua totale estinzione. C'era tutto lì dentro; qualunque informazione storica, scientifica, matematica, presente, passata e futura, era racchiusa in quel piccolo frammento di universo; e c'era tutto di me. Come uno specchio mi restituì un'immagine che conoscevo bene, una verità che portavo dentro di cui a un livello remoto dalla coscienza ero al corrente, ma che senza gli strumenti adatti non avrei mai potuto estrapolare.
«Ho un tumore al cervello» dissi frastornata.
Il cancro è stato debellato da almeno settecento anni. Il tuo è a uno stadio molto avanzato, ma ti cureremo, te lo prometto, sussurrò Hadassa tra i miei pensieri.
Scivolai in quella comunicazione telepatica, senza accorgermene.

Dobbiamo trovare un mezzo di trasporto veloce, suggerì Israel, preoccupato.
Hai ragione, questa donna non può affrontare un viaggio lungo due giorni... ma le Porte Spaziali hanno un costo proibitivo anche per me ammise Hadassa, angosciata.
Mi sfilai la fede nuziale e l'anello di diamanti che i due uomini della mia vita mi avevano regalato.
«Possono bastare?» domandai speranzosa.
Smilliu afferrò i gioielli, li osservò ammaliata.
Non so cosa siano, ma con questi potremmo convincere le guardie delle Porte; lo sento.
Mi diedero una pillola che arrestò l'emorragia e mi restituì in parte le forze.
Ci incamminammo, tutti e quattro, verso la mia unica possibilità di salvezza.

RapitaWhere stories live. Discover now