29. VIAGGI ASTRALI

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Caddi nel blu.
Il volto scuro di Israel divenne un tutt'uno col buio pesto in cui precipitai. Un'intensa vertigine mi trascinò con sé, ma anziché inabissarmi, ruzzolai verso l'alto. Quando il lancio si arrestò, osservai da lassù ciò che accadeva alla mia povera carcassa sanguinante. Il domestico del Professore e Israel mi portarono in una delle numerose camere degli ospiti; continuando a tamponare l'emorragia, mi svestirono e mi adagiarono su un letto a baldacchino. Il Professore si consultò con Hadassa per capire come avessi potuto ridurmi in quelle condizioni; un cancro del genere era qualcosa che non si vedeva da secoli. Hadassa gli ripeté la mia storia in modo che il Professore potesse ricordarsi di me. Smilliu piangeva seduta al suo posto, davanti al piatto vuoto, continuando a spilluzzicare gli avanzi finché non ripulì l'intero tavolo.
Ben presto arrivarono degli uomini con lunghi camici azzurri. Sembravano scienziati pazzi più che medici. Mi somministrarono alcune pillole prima di trasportarmi in una stanza del secondo piano occupata dal macchinario utilizzato dal Professore per tenere insieme i pezzi; mi ci infilarono dentro. La piastra superiore iniziò a muoversi lentamente, avanti e indietro, emettendo un sottile ronzio simile a quello prodotto da milioni di pietre galleggianti.
Distolsi lo sguardo da quella scena divenuta monotona, mi guardai intorno: ero avvolta nel buio, ma non avevo paura. Mi sentivo al sicuro come all'interno di un ventre materno.
Scorsi delle luci in lontananza, brillavano come stelle ai confini di un universo mio. La sensazione che tutto intorno a me galleggiasse si accentuò; anch'io in qualche modo fluttuavo, non capivo più quale fosse l'alto e il basso; la forza di gravità non aveva più alcun effetto su di me. Di tanto in tanto vedevo il mio corpo inerme dentro il macchinario, seguiva il buio totale, e infine le stelle lontane. Roteavo su me stessa a ritmo incostante, come un pianeta ubriaco. Fra i tanti volteggi, riconobbi la mia stella; quella che avrei voluto circumnavigare per l'eternità. A ogni rotazione la sua potente attrattiva aumentava, finché quel senso di benessere viscerale diventò irresistibile. Fui sul punto di lasciarmi andare, quando mi sentii chiamare:
Mamma!
Emma mi trattenne come una catena.

Il mio bambino, prosegui una voce di donna simile a quella di Hadassa, ma non era lei. Sembrava più la voce... della sua malinconia.

Hadassa riporterà la mia mamma, insieme al tuo bambino? proseguì Emma.
Quale bambino? domandai.

Vidi Manuel.
Piccolino, vieni qui, lo pregai.
Mi era capitato di sognarlo, in passato; Emanuele mi aveva chiesto di consegnargli un messaggio, nel caso lo avessi sognato di nuovo:
Tuo padre ti ama ed è fiero di te. Gli  manchi tanto.
Il bambino riconobbe quelle parole. Il suo volto si produsse in molteplici espressioni, come le fotografie che tappezzavano le pareti di casa. Lo vidi accucciarsi sul letto di Emanuele, al centro del quale giaceva Gloria.

Un giorno non molto lontano la leucemia sarà curata con una pillola.

Un turbinio di pasticche colorate circondò Manuel che riprese a correre su un prato fiorito. Udii la voce di altri bambini, in lontananza, come all'interno di un parco giochi. Si addentrò nella nebbia. Lo chiamai. Il bambino si voltò, i suoi occhi di laguna oltrepassarono la foschia.

Hadassa mi riporterà a casa, ma tu non dovrai seguire la luce, disse prima di raggiungere gli altri bambini oltre la bruma.

Rividi Gloria riversa sul letto; i suoi occhi celesti rivelarono la malinconia struggente che avrebbe tramandato a tutta la sua discendenza in linea femminile, fino a Hadassa. Il filo millenario che univa le due donne era stato contaminato dalla morte prematura di Manuel.
Compresi il significato di tutto; non desiderai altro che comunicarlo a Hadassa, dirle che è possibile capire il senso della vita; basta allontanarsi da se stessi.
Provai a tornare in me; mi sforzai di ricongiungermi al corpo, ma non riuscii ad avvicinarmi. Laggiù si stavano occupando di me. Avrei dovuto solo resistere al richiamo della luce, a quel senso di pace.
Hadassa, la invocai, conosco il senso profondo dell'esistenza.

Nella stanza delle cure, si prodigarono per arrestare l'emorragia cerebrale. Poi si occuparono del cancro: ci vollero mesi, ma lo estirparono. Ricostruirono i tessuti danneggiati.

Vidi Burel confabulare con il Professore;
Andel era stato soppresso;
Dagmos si commosse davanti al mio corpo esanime.
Forza mamma, mi incoraggiava.
E io intanto fluttuavo; quando vedevo la luce mi impegnavo a non cederle, ma era sempre più dura.
Devi farcela, mi sussurrava Hadassa, solo tu conosci le coordinate. Dobbiamo sapere il giorno e il luogo del decesso di Manuel per poter intervenire. I mercanti di cibo sono profondi conoscitori dei viaggi nel tempo, ma i tunnel sono infiniti e non sappiamo quale intraprendere.

Il mio corpo non rimase mai incustodito; giorno e notte il Professore, Smilliu, Hadassa, Israel, Burel, Dagmos, gli scienziati pazzi, il macchinario, vegliavano su di  me.
Il Professore fece collegare al mio DNA una pietra galleggiante - verde come i suoi occhi, aveva detto - per provare a estrapolare quelle informazioni, ma riuscirono solo ad assistere ai miei viaggi astrali, facendoli tremare a ogni richiamo della luce eterna.
Con gli scienziati pazzi, decisero di impormi il sonno spirituale; non avrei resistito a lungo alla tentazione di morire.

Mi ripararono. Quando mi svegliai, erano trascorsi tre anni.

RapitaWhere stories live. Discover now