18. VIETATO AI MINORI DI DICIOTTO ANNI

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18

L'uomo osservò perplesso l'incisione sulla parete, poi disse: «Israel» indicando se stesso.
«Ti chiami così? Israel è il tuo nome?»
Egli ripeté quel nome e rifece lo stesso gesto.
«Bianca» dissi imitandolo. «Il mio nome è Bianca.»
L'uomo sorrise, rivelando un'ampia dentatura alla quale mancava qualche pezzo.
Mi porse una pillola, mi fece segno di inghiottirla e poi indicò un'amaca appesa a una trave a vista. Non l'avevo notata quando ero arrivata, forse per via del colore che si confondeva con le pareti; anche la forma aveva un taglio inconsueto e mimetico. O forse la mia mente aveva accettato il materasso lurido appoggiato per terra, ma non l'amaca, inconcepibile in un appartamento al quattordicesimo piano.
Tutto ciò che mi era capitato quel giorno, dal viaggio assurdo, al mio arrivo nella città lucente, alle rovine di quella specie di inferno in cui ero precipitata, mi aveva stravolta, spiazzata, tramortita; la nostalgia di casa si acuì come la fitta che mi attraversò le meningi. Barcollai. Il mio corpo aveva ripreso a somatizzare, almeno lui mi rassicurò; ero sempre io, nonostante la sciagura che mi stava devastando.
Inghiottii quella pillola senza remore; se si fosse rivelata letale mi avrebbe fatto un piacere; ebbi voglia di spegnermi.

Sognai di essere a casa. Fuori imperversava la tempesta, avevo caldo così spalancai le finestre; fui travolta dal vento. Due braccia mi cinsero i fianchi. Riconobbi quella presa ferma, mi voltai: era Emanuele. Mi strinse forte a sé. Niente più dei suoi abbracci sapeva consolarmi e farmi sentire al sicuro. Ci scambiammo un bacio impacciato, come ogni volta in cui lui mi infilava la lingua in bocca e io non sapevo come gestirla. I baci per me erano una questione di labbra, di morbidezze che si sfiorano; eravamo così diversi, forse per questo irrimediabilmente attratti l'uno dall'altra. Gli chiesi di sdraiarsi accanto a me. Mi sentivo stanca e avvilita, avevo bisogno di stargli vicino senza il sovraccarico del mio corpo sulle gambe. Iniziò ad accarezzarmi, mi baciò il collo, mi morse il seno. Le sue carezze si fecero audaci, come il mio disagio; eravamo a casa mia, sul letto che condividevo da vent'anni con Giulio. Temetti di profanarlo.
Quando le sue mani scesero ad accarezzarmi e poi toccarmi con veemenza, le spostai; non volevo farlo, non volevo tradire Giulio anche se il desiderio che provavo in quel momento mi teneva in ostaggio. Lui si rassegnò per qualche istante, mi accolse fra le sue braccia, poi con le dita tornò a farsi spazio dentro di me.
«Non sto con una donna da troppo tempo, ti prego, fallo per me.»
«Perché mai dovrei sacrificarmi?» ironizzai.
«Perché mi appartieni» replicò serio. «Il tempo ha giocato a mio sfavore, avrei dovuto incontrarti vent'anni fa. Ma possiamo recuperare...»
Mi sfilò gli slip, bloccò il mio polso sinistro al letto, mi baciò con passione. Si frappose con il corpo tra le mie gambe e, in maniera del tutto inattesa, mi penetrò con forza. Non mi aspettavo il suo sesso dentro di me in quel modo. Mi lasciò senza fiato.

Quella notte sull'amaca, rivissi la prima volta in cui facemmo l'amore, in cui subii una sorta di violenza da parte dell'uomo più dolce dell'universo. Erano trascorsi due anni da allora, ma quel ricordo fu più vivido del reale.

Provai a fermarlo, non perché non lo desiderassi ma non ero pronta a tradire Giulio.
«Mi fai male» gemetti.
A quelle parole, lui si scostò.
«Scusami, non volevo» disse mortificato.
Ci ammutolimmo. Un uomo che non era mio marito si era spinto dentro di me, e io avevo provato le stesse sensazioni del giorno in cui avevo perso la verginità, venticinque anni prima. Non feci in tempo a sentirmi in colpa che lui tornò a riempire il mio ventre con il suo membro turgido, muovendosi selvaggiamente. Provai a divincolarmi, ma fu implacabile. Emanuele era entrato di nuovo dentro di me senza chiedermi il permesso, senza preoccuparsi di prendere precauzioni; avrebbe potuto mettermi incinta, ma sembrò non importargli.
Fu più doloroso che piacevole; un'esperienza così simile a quella vissuta tanti anni prima che mi commosse. Mi sentii come una diciottenne alla sua prima esperienza. Rimasi immobile, vinta da quell'impeto inatteso. Non volevo fare l'amore con lui, volevo solo giocare agli adolescenti che si scambiano qualche effusione; ma lo avevo invitato nel mio letto, e a dispetto delle sue movenze delicate, quasi effeminate, a letto si rivelò brutale, offrendomi così una piccola violenza sessuale; uno dei miei sogni erotici più reconditi.

Sanguinai.
Era successo, avevo perso la verginità una seconda volta. Forse quella dello spirito.

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