6. CRISI CONIUGALE

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Giulio trascorse la notte in commissariato.
Emma fu portata a casa dei nonni paterni; le dissero che eravamo dovuti partire d'urgenza; un importante regista hollywoodiano voleva incontrarmi per mettere su pellicola il mio ultimo thriller e Giulio aveva dovuto accompagnarmi.
La sua fantasia non aveva limiti quando si trattava di stupire nostra figlia. Era nei miei confronti che tutto quell'estro claudicava. Non riuscivamo a spezzare la routine che attanagliava ogni sfera della nostra relazione, eppure sentivo che la soluzione dei nostri problemi si nascondeva proprio lì. Non si risparmiava per soddisfare Emma, amava lei molto più di me e la cosa era reciproca: amavamo quella bambina più di noi stessi. L'avevamo desiderata così tanto che quando era arrivata, dopo anni di estenuanti cure ormonali, tentativi di inseminazione falliti, lacrime e delusioni, ci eravamo dimenticati del nostro amore.
Emma, comunque, fu molto soddisfatta della spiegazione, anche perché le fu concesso di non andare a scuola per qualche giorno.

L'interrogatorio fu un supplizio. Anche se tutto faceva presupporre una sua totale estraneità dai fatti, complici un alibi inappuntabile e lo stato di prostrazione in cui versava, non si poteva escludere del tutto un suo coinvolgimento. Una donna era stata rapita, sua moglie da vent'anni. I mariti sono sempre i primi sospettati di fronte a delle sparizioni immotivate, così come negli omicidi. Cosa che peraltro non veniva esclusa.
Lo torchiarono.
«Come vanno le cose tra di voi?» cominciò uno dei due investigatori che affiancarono il commissario Muscarella.
Le cose non andavano più come un tempo. Da qualche anno stavamo insieme più per abitudine che per amore. Eravamo legati da un profondo affetto, nato dal più grande amore immaginabile, sfociato poi in una parentela simile a quella che lega due consanguinei. Mentre lui riusciva ad accettare con serenità - come si accetta il tempo che passa, il corpo che invecchia - questa nuova versione della nostra relazione, creatasi in maniera molto graduale e che sembrava dirigersi verso un capolinea, io mi ero ritirata sempre più in me stessa. Aveva ragione quando mi accusava di essere spesso assente; c'ero con il corpo, non con la testa. Facevo tutto ciò che era richiesto a una donna nella mia posizione: lo accompagnavo nelle occasioni ufficiali, condividevamo lo stesso letto, di tanto in tanto riuscivamo anche a fare l'amore, mi dedicavo totalmente a Emma. Ma la mia felicità era altrove. In un luogo e in un tempo altri, nei ricordi dei tempi passati o nei sogni di un improbabile futuro.
Non era quella vita così monotona ciò che mi aspettavo alla soglia dei cinquant'anni, e anche lui aveva iniziato a cercare le emozioni altrove.
«L'ha mai tradita?» domandò Muscarella, senza preamboli.
«Sì, due volte» rispose controvoglia.
«Sua moglie ne era al corrente?» lo incalzò.
«A mia moglie non importa più nulla della mia vita sessuale. Comunque no, non ha voluto saperlo. Come io non voglio sapere della sua vita, quando non è con me. Sospetto che anche lei mi tradisca, ma non so con chi; non ho mai voluto indagare.»
Giulio iniziava a innervosirsi. Quelle domande punzecchiavano quell'angolino della sua mente che preferiva lasciar sonnecchiare.
«Non ha mai trovato qualche messaggio ambiguo sul suo cellulare? Su WatsApp o Messanger?»
«Non ho mai controllato il suo telefono. Non lo farei neanche sotto tortura.»
«Peccato, in questo momento risulterebbe molto utile il nome del suo amante.»
«Non ho detto che ha l'amante!» ruggì. Inspirò profondamente, provò a calmarsi. «Potrebbe anche non avermi mai tradito. Non ho nessuna prova in questo senso.»

I due investigatori scambiarono uno sguardo molto eloquente con il commissario. Gli concessero una pausa durante la quale bevve un caffè, fumò qualche sigaretta, fece due passi in corridoio. Pianse.

L'interrogatorio riprese: «Gli amici vi descrivono come una coppia esemplare.»
«Ci vogliamo molto bene e ci rispettiamo, questo sì. Faccio di tutto per accontentarla, per non contrariarla. Non posso immaginare la mia vita senza di lei.»
«E allora perché...»
«Io la amo!» tuonò. «Su questo non si discute. Quelle due avventure sono state solo uno sfogo; ci sono stati mesi in cui non si lasciava sfiorare. Sono anni che non mi bacia più. Avevo bisogno di annegare da qualche parte la mia frustrazione. Ho scelto la strada più vile. Volevo solo sentirmi desiderato. Lei... non mi guardava più. Se le capitavo davanti, mi attraversava con lo sguardo.»

Il mattino dopo lo rilasciarono. Andò a casa e dormì fino a sera, come quando era nata Emma; mi era stato accanto durante il lungo travaglio e le molte ore successive al parto, in cui ero piombata in una terribile crisi depressiva. Il giorno dopo la sua nascita mi ero rifiutata di vederla, non avevo fatto altro che piangere e ripetere che avevamo sbagliato a volere a tutti i costi un figlio in così tarda età. Avevo maledetto la procreazione assistita, senza la quale non saremmo diventati genitori. Ero arrivata a pensare di darla in adozione a una coppia giovane e altre insulsaggini, visto quello che avevo dovuto subire per metterla al mondo. Quando finalmente mi ero calmata, Giulio era andato a casa e aveva dormito fino a sera.
«Dove sei finita?» chiese alla fotografia che mi ritraeva felice, appena si svegliò dal sonno tormentato che aveva seguito l'interrogatorio. Scongelò una pizza, bevve due birre e si abbandonò sulla poltrona. Accese la TV senza capirci niente, chiamò sua madre per sapere della bambina, le chiese di distrarla, di tenerla con sé. Lui non era in grado di accudirla, né di nasconderle quell'immensa preoccupazione; voleva che almeno Emma fosse serena.
Mi avrebbero ritrovata, ne era certo; quel rapimento doveva essere stato un errore. Non c'era nessun motivo che giustificasse un simile abominio. E poi i rapimenti erano roba degli anni '80, ma in quel momento non si sentiva in grado di rassicurare nemmeno il canarino che fischiettava allegro sul davanzale della finestra. Figurarsi nostra figlia.

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