1. Gemma

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L'aria soffiava gelida quel giorno.
I giorni della merla, i più freddi dell'anno, erano arrivati. Il sole però non sembrava preoccuparsene e splendeva nel cielo allungando i suoi raggi fino a toccarle la punta del naso.

Gemma, dieci anni e due occhi grandi e vivaci, respirò profondamente e si stiracchiò un'ultima volta, prima di alzarsi con un saltello dalla vecchia sedia in vimini che, insieme al padre, aveva rimesso a nuovo l'estate precedente.
Infilò i suoi adorati stivali rossi e sorrise pronta per una nuova avventura tra vigneti e boschi. Con i capelli spettinati schiacciati sotto la pesante cuffia di lana e avvolta nel suo cappotto verde bosco, lanciò uno sguardo attraverso la finestra a sua madre che cercava, con poco successo, di far addormentare il piccolo Bartolomeo. Sul tavolo in cucina restavano ancora i segni del pranzo, durante il quale Gemma aveva raccontato a sua madre Iole della mattinata passata a scuola.

Aveva però accuratamente omesso l'animata discussione che aveva avuto nell'intervallo con Nilde, una ragazzina di due anni più grande. Una pallonata aveva colpito Nilde che stava chiacchierando con alcune compagne. Era bastata un'occhiata per individuare la non troppo dispiaciuta colpevole. Nilde si era diretta sbraitando verso Gemma e la situazione era velocemente sfuggita di mano, e sarebbe pure peggiorata se le due non fossero state interrotte dalla campanella.

Aveva anche tralasciato il fatto che durante la lezione successiva, mentre il maestro parlava di nuvole e correnti d'aria, lei era partita per uno dei suoi viaggi. Appollaiata su una nube bianca e morbida, si era fatta accarezzare la faccia dal vento mentre si dirigeva verso il monte che la chiamava a sé, come un vecchio amico che aspetta impaziente il momento di un nuovo incontro. Lo vedeva in tutto il suo splendore, vestito di tutti i suoi alberi e guardiano dei vigneti che lo abbracciavano. Gemma sentiva già i profumi e lo scricchiolio delle foglie sotto i suoi piedi e non poteva fare a meno di sorridere.

Un colpo di tosse del maestro, che ormai aveva imparato a riconoscere le sue fughe nella fantasia, l'aveva riportata improvvisamente in classe, al suo banco duro e spigoloso e ai doveri scolastici. La campanella l'aveva nuovamente salvata, interrompendo quella lezione che sapeva di reclusione.

La mamma le fece dalla finestra un cenno vittorioso, finalmente Bartolomeo si era addormentato. Gemma sorrise e voltandosi scorse il suo arco appoggiato al muro di pietra. Suo padre glielo aveva costruito e, quando alla vigna c'era meno lavoro e non era impegnato con le sue api, la portava nel bosco dei castagni e le indicava questo o quel tronco da colpire per affinare mira e tecnica.
Zeno, suo padre, credeva molto in lei e nelle sue capacità; la trattava con rispetto e non la faceva mai sentire troppo piccola. Anche il coltellino che Gemma portava sempre con sé era stato un suo regalo e lei ne andava molto orgogliosa.

Stava per prendere l'arco quando sentì un fischio lungo e acuto. Un ragazzino alto e magro, con capelli scuri e ribelli, le veniva incontro. Era Martino: il suo migliore amico. Arrivò correndo dal vecchio cancelletto di legno che separava le loro case. Gemma non ricordava di averlo mai visto camminare, lui era sempre, sempre, di corsa.

« Ciao! »

« Ciao!! »

« Che hai lì tra le mani? » chiese lei curiosa.

L'eccitazione del ragazzo era palpabile e Gemma che lo conosceva bene sapeva che poteva significare solo una cosa.

« Che hai trovato stavolta!? »

« Dopo scuola sono andato a farmi un giro e ho trovato questo. Non so bene cosa sia, ma non ne avevo mai visto uno prima. Che ne dici? » chiese lui mentre dalla tasca di un paio di logori pantaloni grigi estraeva un piccolo oggetto malridotto.

Prese poi la lente d'ingrandimento che suo nonno gli aveva regalato per il suo compleanno qualche mese prima e la mise con decisione davanti alla faccia di Gemma. Lei si rigirò tra le mani quel pezzo di metallo arrugginito che terminava con un sottile gambo spezzato. Sotto ad uno spesso strato di sporco si riusciva ad intravedere una foglia di vite incisa sulla sua sommità e su questa sembravano esserci delle lettere.

SòcWhere stories live. Discover now