19. L'incubo

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L'alba non era lontana quando Occhio e i peronosperi fecero il loro ingresso nel covo di Leda.

Il primo ad accorgersi del loro arrivo fu Orecchio, un altro degli esseri mostruosi di cui Leda si era circondata negli anni. Aveva un corpo scheletrico come quello di Occhio, coperto da una giubba blu a doppiopetto di tipo militare, ma, a differenza dell'altro, aveva due occhietti minuscoli e una testa molto piccola da cui partivano due orecchie spropositate, così lunghe da toccare terra. Questo gli dava la possibilità di sentire e riconoscere ogni minimo movimento anche a grandi distanze, motivo per cui Lei lo aveva creato e voluto al suo fianco.

Avevano Martino.

Finalmente la notizia che Leda tanto aspettava.

Lo fece portare, ancora profondamente addormentato, in una piccola stanza senza finestre e attese con impazienza il momento del suo risveglio. Aveva aspettato quel momento da così tanto tempo, lo aveva immaginato così tante volte, si era soffermata sui più piccoli dettagli, aveva pianificato tutto fino allo sfinimento.

Finalmente avrebbe potuto ritornare quella di un tempo, recuperando tutto il suo potere e, allora, la vendetta sarebbe stata sua. Nessuno avrebbe più potuto dimenticare il suo nome.

Martino era nelle sue mani. Certamente Baldo e Arturo sarebbero venuti presto a cercarlo e Lei era pronta ad accoglierli come meritavano. Baldo le aveva portato via e messo contro per sempre sua figlia Egle mentre quel vecchio vignaiolo l'aveva privata della sua bellezza.

Ladri. Ecco cosa erano per Lei.

*****

Senza sapere come ci fosse arrivato, Martino si ritrovò davanti alla vecchia villa abbandonata sulla collina. Il tetto quella notte era pieno di uccelli che ricoprivano ogni tegola, uniti in un silenzio assordante. Sembrava impossibile che centinaia di uccelli potessero stare tutti contemporaneamente in completo silenzio.

Poi, all'improvviso, uno degli uccelli che si trovavano nella parte più bassa del tetto, lanciò un grido acuto. Un grido così forte che Martino pensò che i vetri di tutte le case del paese sarebbero esplosi. Il cancello si spalancò di colpo davanti a lui come se non fosse stato ricoperto di ruggine.

Martino ebbe un attimo di esitazione, ma poi, qualcosa lo spinse a muoversi e così fece un passo e varcò il cancello. Al suo passaggio rovi e vecchie piante si facevano da parte e sembravano indicargli la via da seguire.

Lo condussero così fino alla scalinata che portava al portone d'ingresso della villa.

Lei era lì, in piedi, avvolta in un lungo abito blu, che lo aspettava. Con un sorriso poco rassicurante gli fece cenno di raggiungerla.

Qualcosa attirò l' attenzione di Martino. In un angolo, c'era una grossa gabbia per uccelli e dentro c'era...lui.

Martino si svegliò di soprassalto. Aprì gli occhi, ma il buio che lo circondava era così fitto da fargli credere di averli ancora chiusi. Si massaggiò la testa che gli pulsava, il cuore batteva forte per l'incubo appena fatto. Si sentiva stordito e acciaccato come quando aveva avuto la febbre alta anni prima e il nonno era andato a chiamare Iole perché non sapeva come aiutarlo. Lei gli aveva preparato un intruglio caldo e speziato e poi aveva passato la notte al suo fianco, rinfrescandolo in continuazione con un panno bagnato. Nonostante la febbre, Martino aveva pensato che era davvero bello averla lì e che doveva essere così avere una mamma.

Il ricordo della litigata della sera prima con suo padre e suo nonno arrivò come una dolorosa fitta a peggiorare il suo mal di testa.

Un filo di luce filtrava appena da sotto la porta, e Martino si aspettava di rivedere gli attrezzi di Silvestro e le pareti di legno della sua baracca. Invece non trovò niente di tutto ciò. Le pareti erano di mattoni e la stanza piccola e spoglia. Non c'era niente a parte quello scomodissimo letto su cui si trovava. Nessuna finestra, nessun tavolo e nemmeno una sedia. Niente. Quella non era la baracca di Silvestro.

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