5. Nel bosco

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Zeno aveva portato Gemma con sé tra i boschi sin da quando era molto piccola per raccogliere castagne e noci e le aveva insegnato a riconoscere piante ed erbe, velenose e commestibili. In primavera la portava a caccia di asparagi selvatici, mentre in estate riempivano cestini di more e lamponi con cui poi Iole preparava fantastiche marmellate. In autunno raccoglievano bacche di ginepro e di rosa canina e anche bacche di sorbo. Queste ultime appena raccolte avevano un sapore terribile, ma, dopo qualche giorno al buio tra la paglia, diventavano morbide e dolci e Gemma ne andava ghiotta. In inverno invece coglievano piccole mele selvatiche e borragine con cui la famiglia preparava il ripieno dei ravioli da mangiare durante le feste.

Quando poi si allenavano con l'arco, padre e figlia andavano in una piccola radura circondata da alti castagni con al centro un grosso albero di noce. Zeno aveva raccontato alla figlia di come il noce fosse un albero che non amava la compagnia di altri suoi simili e, per mantenere quella sua pace, le sue radici producevano una specie di veleno che impediva ad altre piante di crescere nei suoi paraggi. Gemma aveva pensato che forse Arturo fosse un po' un noce perché lo vedeva sempre solo e sembrava andargli bene così. Lui non pareva sentire il bisogno di stare in compagnia di altre persone e, anzi, quando capitava ne era piuttosto infastidito. Però con lei e Martino era sempre gentile e disponibile e quindi, di certo, non poteva essere velenoso.

Gemma amava stare in quella radura con il padre: c'era sempre una luce bellissima e un po' magica e le sembrava i castagni che la circondavano formassero una tana sicura.
Zeno adorava portare la figlia con sé nel bosco e condividere con lei il suo sapere, ma era da sempre categorico sui confini da non superare e sui luoghi in cui non addentrarsi mai. La regola era di restare sempre, sempre!, in vista dei vigneti. Negli anni Gemma e Martino avevano spesso trascorso le loro giornate nel bosco esplorando, inseguendo animali e raccogliendo le cose più disparate, ma non avevano mai disubbidito a quelle raccomandazioni. Fino a quel momento.

Era passata almeno un'ora da quando, mano nella mano, Gemma e Martino si erano avventurati nel bosco dando il via alla loro ricerca. Ad un certo punto lui le indicò un passaggio tra due alberi che si inerpicava su per il monte. « Forse salendo un po' avremo una vista migliore e più possibilità di trovare quell'uomo... » propose incerto.

Gemma ammise a malincuore che i sentieri battuti fino a quel momento non avevano portato a nulla e che quindi l'unica cosa da fare era addentrarsi di più nel folto del bosco per trovare qualche traccia. Questa era la prima volta che infrangeva la regola di suo padre e la cosa la spaventava molto.

Amava davvero il bosco, lo rispettava e sentiva un legame profondo con le sue creature. Oltrepassare i limiti che suo padre le aveva insegnato equivaleva a rompere quel legame, significava sconfinare in spazi che non le era dato conoscere e questo la faceva sentire profondamente in colpa. Martino che le era accanto non poteva immaginare il turbine di pensieri che frullava nella testa dell'amica e camminava spedito trascinandola con sé, elettrizzato per quei sentieri inesplorati.

Il bosco si fece via via più fitto e la luce filtrava con sempre maggiore difficoltà attraverso rami e foglie. C'erano alberi vecchissimi, con tronchi enormi ricoperti da uno spesso strato di edera. L'edera insieme al muschio ricopriva anche buona parte del sottobosco che era costituito da biancospino, agrifoglio e rosa canina. L'umidità dovuta alle piogge dei giorni precedenti impregnava l'aria, rendendo tutto poco nitido e aumentando la loro difficoltà nel trovare punti di riferimento per orientarsi.

Avevano ormai lasciato da un pezzo il sentiero che conoscevano e ora si muovevano seguendo l'istinto, sperando li conducesse da quell'uomo. Ogni passo per Gemma era una battaglia con sé stessa: voleva davvero aiutare Martino e scoprire l'origine di quella strana nebbia, tuttavia la paura e la sensazione di esser nel torto con suo padre e il bosco non le davano tregua. Martino invece era totalmente concentrato sull'obiettivo e inebriato dalla voglia di esplorare.
Entrambi non si accorsero che, nascosto dietro ad un tronco, uno strano essere li osservava senza mai perderli d'occhio. Occhio, proprio questo il suo nome, aveva uno strano viso ricoperto per i tre quarti da un unico grande occhio. Le grandi palpebre non si chiudevano dall'alto verso il basso, ma orizzontalmente incontrandosi nel mezzo di quel grande globo lattiginoso. Sembrava impossibile che un occhio così spropositato riuscisse a stare su un corpo tanto scheletrico. Le dita dello strano essere erano lunghe e affusolate come fragili rametti. Era difficile notarlo in mezzo agli alberi perché il colore della sua pelle e dei suoi stravaganti abiti si confondeva perfettamente nell'ambiente circostante. Seguiva Gemma e Martino da quando erano entrati nel bosco, deciso a non fallire nuovamente nella sua missione.
Lei aveva creato quella nebbia e quel vento e i ragazzini sarebbero dovuti finire tra le grinfie di Occhio e degli altri. Stava andando tutto secondo i piani fino a quando quel guastafeste che abitava nel bosco aveva suonato il suo corno, spezzato il sortilegio e fatto fuggire tutti i peronosperi. Lei si era arrabbiata moltissimo vedendoli tornare a mani vuote e Occhio aveva promesso che avrebbe trovato il modo di farsi perdonare.
Mentre faceva attenzione a non perderli di vista, pensava febbrilmente a come catturarli visto che in quel momento era solo. Mise una mano sotto il panciotto che indossava e ne tirò fuori un piccolo richiamo in bronzo. Stava per usarlo per attirare a sé qualcuno di quegli esseri viscidi che Lei gli aveva procurato, ma poi si fermò e pensò a quanto sarebbe stato bello riuscire da solo ad accontentare la padrona. Sicuramente lo avrebbe ricompensato. Lei lo aveva dotato di qualche piccolo potere magico e, forse, se lui le avesse portato quel ragazzino, lo avrebbe reso più potente. Era un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

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