7. Rose rosa o rose rosse?

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Felicity


«Sono veramente felice che tu sia riuscito a raggiungerci. Ormai non ci speravo più...», esclamai al settimo cielo, allungando una mano per sfiorare una guancia ad un Theo più sfolgorante del solito.

Abituata a vederlo sempre nei panni dimessi da professore universitario rimasto legato alla moda di quando dietro ai banchi ci stava lui stesso, la sua figura fasciata da un elegante completo da sera scuro era una piacevole scoperta.

«Donna di poca fede!», mi riprese sorridendo e passandomi un braccio attorno ai fianchi per trascinarmi più vicina a lui. «A proposito: chi era quel tizio?»

Era gelosia per caso quella che percepivo? Mi detti della sciocca da sola; era più probabile che Victoria's Secret mi arruolasse come angelo per una delle sue sfilate di lingerie rispetto alla possibilità che Theo fosse possessivo nei miei confronti e si accorgesse del fatto che anche altri uomini oltre a lui potessero trovarmi interessante.

Voltai il capo, ma i miei occhi trovarono solo il giardino in penombra e il mare solitario come sfondo.

Lui non c'era più.

Per un attimo mi mancò il respiro nel ricordare quello che era successo tra noi. O meglio, quello che sarebbe successo se il mio caro fidanzato non fosse spuntato dal nulla. Quando si dice tempismo perfetto...

Cercai di scacciare dalla mente l'immagine di quegli occhi così grandi e così profondi. Per un attimo mi era parso che tutto intorno a noi si cristallizzasse, un attimo perfetto, fermo immagine. Poi Theo era arrivato ed era come se qualcuno avesse premuto il tasto play, mettendo fine al momento di pausa irreale. Le cicale avevano ripreso a cantare, il vento a far danzare le fronde degli alberi e la musica a raggiungerci attutita da dentro casa.

«Solo...solo un cliente, te ne ho parlato ricordi? Mr. Carter Wright, l'avvocato che vive dietro casa mia», cercai di spiegargli sapendo già che non aveva la più pallida idea di chi stessi parlando dato che, quando gliene avevo accennato, durante una chiamata Skype un po' di tempo prima, lui stava correggendo dei test. Ti ascolto, ti ascolto, mi aveva assicurato, la fronte aggrottata e una pila altissima di scartoffie che assorbivano interamente la sua attenzione.

«Devo averlo scordato», liquidò lui la questione con una scrollata di spalle. «Entriamo, ti va? Vorrei scambiare due parole con quell'amico di tuo padre che è stato recentemente in Amazzonia». Senza aspettare la mia risposta, si incamminò verso la porta finestra, spingendomi gentilmente come incoraggiamento a seguirlo.

Non appena superai la soglia e ritornai tra la confusione di persone danzanti, battiti di mano, auguri entusiasti strillati da ospiti brilli e luci colorate venni letteralmente travolta da una figura che mi gettò le braccia al collo, rischiando di soffocarmi tanto potente era la sua stretta.

Risposi all'abbraccio al colmo della gioia, accarezzando quei capelli neri come la più buia delle notti.

Cinsi affettuosamente quel corpicino così esile che, nella buona e nella cattiva sorte, aveva sempre rappresentato un punto cardine della mia vita.

«Ti prego dimmi che non sparirai all'improvviso non appena ti accorgerai di non poter sopportare mamma e i suoi lamenti continui su batteri e ritenzione idrica, ti prego!», la supplicai staccandomi da lei in modo da guardarla per bene negli occhi facendo ricorso al mio miglior sguardo persuasivo.

«D'accordo tesoro!», esclamò alzando le mani in segno di sconfitta e sorridendo. «Se però ricomincia con la storia del matrimonio combinato tra me e l'orribile amico dell'ancor più orribile cugino Philip giuro che emigro a Cuba!»

Se son rose fioriranno altrimenti...in bocca al lupo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora