9. Boccioli

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Felicity


Seduta sul vecchio cavalcavia che sovrastava la super strada che portava verso Boston, il viso poggiato sull'alta inferriata che serviva a prevenire che la gente decidesse di voler provare a volare per poi finire spappolato sul parabrezza di un tir, il vento che soffiava forte contro le mie guance e decine e decine di auto che sfrecciavano sotto di me.

Nessuno aveva mai capito la mia passione per le strade, le stazioni, gli aeroporti. Io li trovavo bellissimi: luoghi di passaggio, di addii, di fughe. Terra di tutti e di nessuno.

Avevo percorso il solito sentiero tra le alte sterpaglie di quel paesaggio di campagna che ormai riconoscevo come familiare, avevo attraversato di corsa il campo di Mr. Edwards sapendo quanto il vecchio burbero poco apprezzasse che si passasse sulla sua proprietà, e poi, dopo aver costeggiato l'orto abbandonato di una famiglia che aveva lasciato quelle terre anni prima, ero arrivata al mio posto segreto. Una volta quel cavalcavia era aperto al transito dei veicoli ma, trovandosi in una zona semi deserta e molto appartata della campagna, gli unici a passarci erano dei rari trattori. Poi due anni fa una equipe di ingegneri aveva fatto una perizia e aveva stabilito che quel cavalcavia doveva essere reso inagibile al passaggio di vetture e così era stato abbandonato da tutti. I rovi si erano impadroniti dell'asfalto ormai crepato e le barriere di ferro si erano arrugginite.

Da quella distanza, se si aguzzava bene la vista e ci si alzava un pochino sulle punte dei piedi, si poteva scorgere la spianata verde dove si ergeva la mia piccola casetta e poco distante la villa di Mr. Liam. Con gli occhi socchiusi, a causa del sole pomeridiano ancora accecante nonostante fossero quasi le cinque, scrutai quel tetto rosso mattone e mi ritrovai a pensare all'uomo che ne era il proprietario.

Negli ultimi giorni, dalla notte della festa di Zoe, mi ero ritrovata spesso a soffermarmi con il pensiero sui suoi zigomi pronunciati o sul suo tono di voce sempre velato di sarcasmo. Mi ero sentita colpevole e subito dopo mi ero arrabbiata con me stessa, perché mi permettevo simili debolezze e tutto ciò nella mia testa appariva come un tradimento nei confronti di Theodore. Eppure ogni volta che la mia mente si trovava libera tornava sempre lì: quegli occhi, quelle mani, quella bocca. Mi ero gettata a capofitto nel lavoro, convinta che il trucco stesse nel tenermi il più impegnata possibile, ma non appena abbassavo la guardia, certa di avercela fatta, mi ritrovavo con lo sguardo perso nel vuoto e la testa piena di ricordi tutti legati sempre e solo a lui.

Questo mio uragano di pensieri ed emozioni contrastanti purtroppo non si era limitato a portare scompiglio dentro di me. Più volte Donovan mi aveva sorpreso chiedendomi cosa mi frullasse in testa, visto il mio costante essere tra le nuvole. Persino Zoe, regina della distrazione, si era accorta di quanto fossi svagata e sovrappensiero in quei giorni.

Il problema era che ero intrappolata in un circolo vizioso: mi sforzavo di non pensare a lui, cadevo nella trappola e contravvenivo a tutte le mie regole, mi rimproveravo aspramente e poi tutto ricominciava da dove aveva avuto origine.

Considerata la mia buona stella Theodore aveva deciso che fosse proprio quello il periodo ideale per impegnarsi di più nel mantenere accesa la nostra relazione e ora ogni sera alle otto precise mi ritrovavo, mentre lavavo i piatti, a raccontargli delle mie giornate via Skype. Le nostre conversazioni si trascinavano tra gli insignificanti dettagli della nostra monotona quotidianità, sempre vissuta separati e mai condivisa.

Un grosso camion carico passò strombazzando e portando con sé una folata di aria calda e inquinata. Mi allontanai dalle sbarre metalliche e mi sedetti sull'asfalto tiepido, gli occhi chiusi per godermi il tepore del sole mischiato alla brezza che fischiava e faceva danzare le ciocche di capelli sfuggite alla mia coda di cavallo disordinata.

Se son rose fioriranno altrimenti...in bocca al lupo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora