11. Fragoline di bosco

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Felicity


«Papà, ho sonno...», aveva borbottato Arabella, stropicciandosi gli occhietti grigi stanchi, una mezz'oretta prima per poi crollare sul divano.

Avevo spiato segretamente dalla soglia della cucina Liam posare delicatamente il corpicino della figlia tra i cuscini, sistemarle sulle spalle il plaid leggero che tenevo vicino al portagiornali e accarezzarle i boccoli sparsi. Avevo sorriso di fronte a quella scenetta e mi ero ritirata in silenzio verso il lavello e la pila di piatti sporchi che mi attendevano.

Mr. Liam aveva poi insistito per darmi una mano con le stoviglie da lavare e così, dopo aver accostato la porta per non disturbare la bambina, avevamo iniziato a lavorare fianco a fianco. Io passavo la spugnetta, li sciacquavo sotto l'acqua tiepida e poi glieli passavo per permettergli di asciugarli ed impilarli in ordine. Non parlammo, ma stranamente mi sentii molto più vicina a quell'uomo distante di quanto fossi mai stata.

Una volta ripulita la cucina e i fornelli gli proposi di prenderci un caffè in veranda. Lo invitai ad andare ad accomodarsi mentre io preparavo il tutto. Gli preparai un espresso, prodotto dalla mia macchina del caffè di cui andavo veramente orgogliosa, e scaldai l'acqua per la mia tisana ai frutti di bosco. Aggiunsi all'ultimo qualche biscotto, promettendo che poi ci avrei dato un taglio con tutti quei dolcetti fuori pasto.

Quando lo raggiunsi notai che si era seduto sulla poltrona che solitamente occupavo io e quando si accorse del mio arrivo distolse lo sguardo dal giardino buio e mi dedicò un tiepido sorriso. Chissà se quell'uomo sapeva ridere di tutto cuore...

«Da qui si riesce a vedere il cielo che, tra l'altro, stasera è bellissimo...», osservò tornando a guardare oltre le pareti in vetro.

Lo sapevo molto bene, avevo passato notti intere accoccolata su quella poltroncina in vimini a naso in su, gli occhi rivolti al firmamento.

Lui si stiracchiò, un gesto che trovai estremamente familiare e per questo insolito data la sua tradizionale compostezza, e mi confidò piano: «Da bambino sognavo di fare l'astronomo. Scrutare per ore gli astri, attendere mesi per poter vedere un pianeta in una determinata posizione...», poi parve riscuotersi e aggiunse: «Ma era solo uno sciocco desiderio infantile».

Allungai le gambe sul divano e scossi la testa nella penombra. «Non è vero, Mr. Liam. I sogni che si hanno da bambini sono qualcosa di puro e autentico. Io sto facendo proprio quello su cui fantasticavo da piccola: rendo belle le cose, omaggio la natura e regalo piccoli angoli fioriti alle persone»

«Non fai testo, Felicity. Comunque tu avresti avuto le spalle coperte. Io dovevo riuscire a diventare qualcuno. Dovevo cambiare le cose e per farlo mi servivano prestigio e soldi, certamente non telescopi e mappe di costellazioni!», ribatté, una punta di frustrazione nella voce.

Quel suo commento iniziale mi indispettì. Avrei dovuto esserci abituata: da sempre le persone pensavano che in quanto di famiglia benestante fossi immune ad ogni problema. Mi sentivo giù? Papà poteva regalarmi una vacanzina ai Caraibi, no? Mi sentivo sola e incompresa? Papà poteva spedirmi dal miglior psicanalista del paese, giusto? Non era mai stato così. Le persone mi avevano sempre giudicato per quello che mio padre e mia madre possedevano e non erano mai stati imparziali nei miei confronti. Come può una ricca ragazzina sentirsi malinconica? Ero consapevole che il mondo fosse pieno di persone veramente sfortunate e che io ricoprissi una posizione privilegiata, ma questo non toglieva il fatto che la mia vita non era stata comunque sempre tutta rose e fiori.

«Non fare anche tu l'errore di vedermi solo come Ms. Van Houten. Ci sono cose che tu non sai di me, perciò non permetterti di giudicare. Cosa credi? Io non sono proprio il tipo che dice 'Vabbè, tanto Papino finanzia quindi io di professione posso fare il lazzarone', speravo lo avessi capito ormai...», esclamai amareggiata.

Se son rose fioriranno altrimenti...in bocca al lupo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora