16. Fichi d'India

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Liam

Quello che stavo facendo era assolutamente folle e senza senso.

O meglio, forse avrebbe avuto un senso se io fossi stato ancora un ventenne dalle idee poco chiare, nel bel mezzo di una crisi esistenziale, con il desiderio di evadere per qualche giorno e provare a schiarirsi le idee.

Io di anni però ne avevo trentaquattro, ero padre, avevo un matrimonio fallito alle spalle e dirigevo uno studio legale che portava il mio nome. E allora cosa ci facevo su una Jeep presa a noleggio a vagare per il deserto dell'Arizona alle sei di mattina?

Sulla destra vidi l'insegna luminosa di una tavola calda aperta 24/7 e decisi di fermarmi. Avevo vagato senza meta fin dal mio arrivo nella mattinata del 2 luglio e ora era arrivato il momento di fare quello per cui ero venuto fino a qui, tornare a casa dopo sedici anni e più.

Parcheggiai l'auto e scesi, senza curarmi degli abiti stropicciati ed impolverati, dei capelli stravolti e della pelle imperlata di sudore che non vedeva una doccia da quarantott'ore. Era una terra di cowboy dopotutto, erano strade per avventurieri e quel clima rovente non era certo per tutti.

Il locale era quasi deserto, fatta eccezione per una coppia di turisti dall'aria stravolta e una cameriera assonnata intenta a giocare a Spider sul suo telefono. Mi lasciai cadere sul divanetto più nascosto e guardai fuori, verso il canyon ancora in penombra.

Il sole stava per sorgere rischiarando una nuova giornata, che però non sarebbe stata una giornata qualunque.

Negli ultimi anni avevo sempre trascorso il 4 Luglio con la famiglia di Matt per il semplice motivo che io una famiglia non ce l'avevo. Solo ora mi rendevo conto che, Tiffany o non Tiffany, relazioni di una settimana o di una vita, una famiglia l'avrei sempre e comunque avuta. Ed era proprio dove l'avevo lasciata.

«Salve, cosa le posso portare?», una voce strascicata dall'accento marcato mi distolse dai miei pensieri.

Detti una scorsa veloce al menù e ordinai uova strapazzate e bacon, il tutto accompagnato da caffè.

La ragazza si appuntò il tutto e scomparve dentro la cucina.

Recuperai il telefono e approfittai della presa di corrente per metterlo in carica e riaccenderlo dopo due giorni di blackout totale.

Nell'attesa mi godetti quell'alba bellissima, che colorava di mille colori quell'arida terra rossa che sembrava essere dappertutto in Arizona. Io ci ero cresciuto tra quelle sfumature, sotto quel sole che spaccava le pietre e su quella terra crudele sempre in preda alla siccità.

Quando il telefono si riaccese, le notifiche iniziarono ad arrivare a cascata.

Saltai a piè pari qualunque email etichettata come 'lavoro' e mi concentrai su quelle che più mi interessavano. Tra queste ne spiccava una.

Dove sei?

Risaliva a due giorni prima.

Sospirai ripensando a quelle mani delicate, alle ciglia fitte e chiarissime, alla sua abitudine di arrivare sempre troppo presto agli appuntamenti.

Senza pensarci due volte feci un rapido calcolo del fuso orario e pigiai il tasto verde.

Non avevo la più pallida idea di cosa le avrei detto, probabilmente mi sarei scusato per il ritardo e le avrei chiesto come stava.

Le avrei confessato che mi mancava, che non sapevo bene cosa fare, che lei mi spaventava perché era al tempo stesso ciò che cercavo da tanto e ciò da cui scappavo da sempre, che l'alba in Arizona era stupefacente e avrei voluto mostrargliela. Le avrei domandato se aveva già bisticciato con sua madre, quanti bagni si era già fatta e se era riuscita ad avvistare un delfino.

Se son rose fioriranno altrimenti...in bocca al lupo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora