20. Bouganville

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Liam

Oggi a Boston il termometro ha sfiorato i 90°F, sono anni che non si vedeva un'estate così afosa qui nel Massachusetts. Erano già le dieci passate quando varcai la porta dello studio e il breve percorso fino a lì era stato sufficiente a farmi sudare. Sentivo il cotone inumidito della camicia aderirmi contro la schiena e così presi il coraggio a quattro mani e mi infilai sulle spalle la giacca del mio completo estivo.

Una ventata di aria condizionata mi colpì dritto in pieno volto, catapultandomi senza preavviso in un clima che faceva un baffo al Circolo Polare Artico. Mi guardai attorno cercando una qualunque forma di vita umana a cui chiedere informazioni al riguardo, ma il banco dell'accoglienza, dove Theresa passava otto ore al giorno a civettare con i clienti, era abbandonato a sé stesso e la cucina era deserta. La macchina del caffè, souvenir che mi ero concesso da un mio viaggio in Italia e che rappresentava un perenne oggetto di contesa tra colleghi, ora giaceva silenziosa e spenta vicino al lavandino, per una volta non invaso da mille tazze, tazzine e scatolette con avanzi di cibo che attendevano di essere lavate da qualche anima pia.

Mi diressi a passo sicuro verso il mio ufficio, avrei chiesto spiegazioni a Diane, lei sicuramente sarebbe stata al suo posto chiedendosi che fine avessi fatto e appuntando ordinatamente tutte le persone che avrei dovuto richiamare il prima possibile. Mi bloccai non appena svoltai l'angolo: la scrivania della mia insostituibile segretaria era vuota. Niente Diane, niente pc portatile dalla stucchevole custodia color lilla, niente molteplici paia di occhiali da lettura abbandonati sul tavolo, niente crackers, grissini, gallette di riso che facevano capolino dai cassetti.

La porta del mio ufficio era serrata e non appena la aprii per poco non mi venne un colpo. Diane se ne stava comodamente appollaiata sul mio pouf in pelle bordeaux, impegnata a battere sui tasti del computer che teneva in bilico sulle ginocchia, un paio di buffi occhiali rosa posati sul naso. Intravidi Lev, gli auricolari infilati nelle orecchie, intento a discutere animatamente nei pressi della vetrata, mentre Kenneth stava sfogliando voluminosi faldoni scuotendo ripetutamente la testa in direzione di Lucas, il nostro stagista. Theresa si stava limando le unghie sopra il mio tappeto da quasi 5000$ in compagnia di Eva, che stava contemporaneamente ridendo, mangiando un sandwich e sbriciolando il fascicolo di carte che teneva posato di fronte a lei, tutte due assorte dal racconto di...Joanne! Joanne, che invece che starsene a casa sua in maternità, si era bellamente accomodata con il suo enorme pancione sul mio divano color panna.

«Qualcuno può cortesemente dirmi cosa sta succedendo?»

Cinque teste si voltarono all'improvviso verso di me, mentre Lev ancora blaterava sullo sfondo.

«Chiudi la porta!», strillò Joanne sventagliandosi con un dépliant.

Theresa le allungò una bottiglietta d'acqua e la aiutò a sistemare un cuscino dietro la schiena. 

«Liam! Eccoti qua finalmente!», tuonò Kenneth, mollando senza preavviso tutti i faldoni al povero Lucas, che quasi caracollò in terra sotto tutto quel peso.

«Abbiamo provato a chiamarti mille volte, ma il cellulare risultava sempre irraggiungibile. Diane ha telefonato a tua sorella Judith, ma neanche lei sapeva dove fossi. Stavamo pensando di provare a sentire il tuo amico Matthew quando sei miracolosamente riapparso...», mi fece un breve riassunto Eva, ancora impegnata a masticare il suo panino, incurante della senape che minacciava di colare sulla sua camicetta di seta e, cosa ancor più importante, sul fascicolo del caso a cui stava lavorando.

«Sono stato assente un paio d'ore, non mi pare il caso di andare nel panico e improvvisare un picnic nel mio ufficio. Diane, per favore, puoi aggiornarmi?», mi appellai al buonsenso della mia ancora in questo mare di follia.

Se son rose fioriranno altrimenti...in bocca al lupo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora