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【xɪᴀᴠᴇʀ】

Quella era l'ultima volta che promettevo a mia sorella Holland di andare a comprarle qualcosa da mangiare. Ogni volta che la sgridavo perché faceva qualcosa di sbagliato, incominciava a piangere e io non riuscivo a resistere. Detestavo vedere e sentire le persone piangere e lei quello lo sapeva benissimo, ecco il motivo per cui lo faceva sempre più spesso ― anche per finta ― e solo per poter avere tutto quello che desiderava da me. Il coglione di turno. Ecco chi ero.

Nervosamente mi passai una mano tra i capelli corvini poi sbuffai al cielo mentre l'aria condizionata del minimarket mi accoglieva a braccia aperte. Una cassiera mi salutò gentilmente ed io ricambiai, per quanto ne avessi voglia. Non riuscivo a sopportare tutti quei sorrisi forzati che i cassieri o i dipendenti in generale erano obbligati a mostrarti quando gli passavi accanto. Purtroppo però erano costretti a farlo per non rischiare di sembrare scortesi agli occhi dei clienti, anche se si vedeva lontano un chilometro che erano finti.

Mia sorella aveva deciso che quel giorno voleva mangiare degli Oreo ― che ovviamente non avevamo in casa ― quindi tra le lacrime mi aveva supplicato di comprarglieli. Perché diavolo non riuscivo mai a resistere agli occhioni dolci di mia sorella e alle sue lacrime ― molto spesso da coccodrillo ―? Forse perché le volevo troppo bene e perché cercavo di esserci nella sua vita, in confronto ai nostri genitori che non erano mai a casa.

Emisi un sospiro stanco che sembrò non passare inosservato a una vecchia signora che con dolcezza mi chiese se stessi bene.

«Sto bene, signora. Devo solo sopportare i piagnistei di mia sorella», replicai poi con una scrollata di spalla di allontanai dal banco frigo e mi diressi a passo spedito verso quello dei dolciumi.

Mi fermai di colpo quando vidi una ragazza di schiena, veramente bassissima, alzarsi in punta di piedi e allungarsi per afferrare l'ultima scatola di Oreo. Porca troia. Mi dovevo sbrigare. Non avevo alcuna intenzione di girarmi tutti i supermercati per cercare quei cazzo di biscotti per mia sorella. Poteva benissimo farlo quella bionda alta un metro e uno sputo, tanto chi l'avrebbe più rivista.

Mi allungai anche io verso la scatola e l'afferrai per un lato mentre la ragazza al mio fianco emise un versetto di felicità che mi fece ridere sotto ai baffi, quando ne prese un angolo anche lei. Quanti anni aveva? Due, per caso?

La vidi inarcare un sopracciglio chiaro, fissandomi accigliata e tendendo le labbra fini in una linea retta. Pensava veramente di farmi paura mostrando quel faccino imbronciato?

«Scusa, ma c'ero prima io. Questa scatola è mia», sibilò acidamente, tirando con forza la scatola verso se stessa.

Feci spallucce, stringendo con più forza la scatola dei biscotti. «In verità l'ho toccata io per prima quindi mi spetta di diritto», replicai atono, alzando poi di poco le spalle in segno di menefreghismo.

Notai che i suoi denti vennero serrati di colpo per il nervoso quindi decisi anche io di stringere maggiormente la presa intorno alla scatola.

Non potevo lasciargliela prendere. Erano per quella rompiscatole di mia sorella. Aveva dodici anni, ma sapeva essere una vera vipera quando ci si metteva d'impegno quindi non potevo tornare a casa a mani vuote.

«No, bello mio. Sono stata io la prima a toccare la scatola e poi è da una settimana che aspetto di poterli mangiare quindi vatteli a comparare da un'altra parte», sbraitò con aggressività, attirando l'attenzione di alcuni clienti che stavano passando per la nostra stessa corsia. Ma perché mi ero dovuto scontrare con una tale cretina? E poi il bello era che volevo passare inosservato, prendere gli Oreo e poi andarmene a casa, invece adesso mi toccava litigare con una tale nana da giardino, dai capelli così bianchi da sembrare una lampadina.

«Sono cazzi tuoi se aspetti di comprarli da una settimana, potevi venire prima. Sono arrivato io per primo quindi la scatola è mia, bella mia.»

«Prima non potevo e poi non devo spiegarlo a un idiota come te. E la scatola è mia quindi fottiti», sibilò nuovamente, facendomi innervosire e strattonando un'altra volta la scatola di Oreo. Poi quella ragazzina, cogliendomi alla sprovvista, mi tirò un calcio negli stinchi, facendomi emettere un gemito soffocato di dolore poi lasciai la presa sulla scatola e mi piegai in avanti, con le mani appoggiate sulle ginocchia, per riprendere fiato.

Quando alzai la testa ― dopo aver ripreso fiato ―, vidi quella ragazza correre velocemente e euforicamente, neanche fosse una bambina, verso le casse automatiche. Cazzo, non potevo dargliela vinta.

Oreo [Supermarket Series ▪ Book #1]Onde as histórias ganham vida. Descobre agora