Capitolo 4

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L'impatto con l'acqua è violento. Quasi come schiantarsi su un muro dopo un volo. Ma anziché sfracellarcisi contro, lo si attraversa e poi ne si viene avvolti. Come se fosse una sorta di coperta che non vede l'ora di inglobarti al suo interno.

Mi sento stanca e vorrei lasciarmi avvolgere ancora di più. Affondare tra quelle acque, che tutto a un tratto mi sembrano così scure e accoglienti. Le bolle prodotte dal mio tuffo mi accarezzano delicatamente la pelle. Una forza misteriosa mi attira sul fondo. Ma non ascolto il mio desiderio. Lasciarsi andare in balia di ciò che ci circonda a volte sembra così allettante. La risposta facile a tutte le domande. Ma io non potevo permettermi di mollare. Mi riprendo e inizio a scalciare con le gambe, tentando di ritornare verso la superficie. Annaspo, allungando le braccia in verticale, come se potessi afferrare qualche appiglio per aiutarmi ad uscirne fuori.

Devo smetterla di avere delle idee così geniali. L'ironia sembra il mio unico supporto. 

Devo finire di pensare come penserebbe una maga.

Non mi era sembrata una via d'uscita difficile. Mi ero detta che potevo usare un incantesimo per respirare, ma solo mentre cadevo nel vuoto ho realizzato che in realtà era meglio di no.

Sarebbe stata una magia troppo potente, troppo facilmente localizzabile. Non potevo rischiare.

La luce del sole penetra nella cupola liquida sopra di me, in coni che si espandono e si muovono al ritmo delle onde. Capisco che manca poco e cerco di darmi le ultime spinte con tutta la forza che ho. Chiudo gli occhi, mentre sento il velo dell'acqua lasciarmi passare verso il velo del cielo.

Appena la mia testa riemerge dal mare, l'ossigeno quasi mi brucia i polmoni per quanto ne sentono il disperato bisogno. Le onde cercano velocemente di spingermi contro lo scafo del veliero. Ma non mi do per vinta e comincio subito a nuotare verso la riva.

Nella mia mente continua a formarsi l'idea che potrei semplicemente comandare al mare di lasciarmi correre sul suo tappeto cobalto. Ma non voglio e non posso, anche se mi sento sgraziata e distrutta, mentre ad ampie bracciate cerco di spingermi lontano dal pontile e dalle navi.

I muscoli delle braccia cominciano a farmi male, ma la spiaggia si fa via via più vicina. Quando finalmente raggiungo la parte di fondale che riesco a toccare con i piedi, mi sollevo e comincio a muovermi barcollando, come un vecchio ubriaco.

I vestiti si appiccicano al mio corpo, come una seconda pelle man mano che emergo dall'acqua.

La brezza mi schiaffeggia, facendomi tremare, e vorrei poter trasformarmi in una lucertola per non dare nell'occhio e fermarmi a riscaldarmi su qualche roccia.

Alcuni passanti e venditori mi osservano mentre i miei piedi affondano nella sabbia della spiaggia.

Sento il sapore del sale pungermi il palato e vorrei sputarlo fuori, ma mi trattengo. Mi giro a guardare verso i pontili che costruiscono il molo. Sul primo c'è un gran via vai di gente e una spirale di fumo blu e rosso si innalza tenace dall'ultima nave ormeggiata. Se non ci fosse stato il soffitto della stiva sarebbe stato un gran bel spettacolo pirotecnico.

Scuoto la testa, scrollando un po' d'acqua dai miei capelli, che mi si attaccano al collo.

Bagnata fradicia mi avvio verso il mercato, zigzagando tra le vivaci bancarelle, fin troppo consapevole del peso degli sguardi sorpresi e allarmati che si posano sulla mia figura.

Il calore della pietra lastricata della strada mi asciuga i piedi, anche se dai miei capelli e i miei abiti continuano a cadere delle gocce che lasciano una scia per terra al mio passaggio, come se fossero briciole di pane. Impronte che segnano il mio passaggio.

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