Capitolo 15

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«Tu» mi chiama e dal suo sguardo capisco che mi ha riconosciuta anche lui.

Sarà meglio far finta di niente. «Io?» domando incredula, mentre lui solleva meglio il volto nella mia direzione.

«Sì, ladra di pugnali».

«Non so proprio di cosa tu stia parlando». Finalmente riesco a mettermi seduta e volto il viso dall'altra parte.

«Non ti si addice fingere da legata. Ti hanno perquisita?». Forse se lo ignoro smetterà di parlarmi.

«Rispondimi» insiste con tono severo.

«Potresti anche chiedere per favore» lo rimprovero.

«Hanno loro il mio pugnale?» mi chiede ignorando la mia replica. Riprendo a guardarlo. Certo che è davvero un tipo strano e presuntuoso.

«Ti sembra la situazione adatta per pensare a un pugnale? Siamo entrambi pri...».

«Quel pugnale è importante» mi interrompe.

Non credo mi degnerà di una risposta ma glielo chiedo lo stesso. «Per quale motivo?».

Noto il suo torace abbassarsi e alzarsi, mentre respira lentamente. Adesso ha deciso lui di ignorare me. I capelli, non più legati, gli ricadono sulle spalle nascondendomi alla vista le sue guance. La barba sembra più folta di quando l'ho incontrato la prima volta e sicuramente ha un aspetto più trascurato, ma almeno non è sporco di sangue. Solo di terra. Chissà cosa ha fatto per finire in questo posto, imprigionato.

«Nella gemma sull'elsa è racchiuso l'unico antidoto alla mia maledizione» risponde invece, suscitando la mia sorpresa. «O forse sarebbe meglio dire nostra».

«Che vuoi dire?».

«Quando hai avuto la geniale idea di mordermi la mia maledizione è passata anche a te. In una quantità molto minore, certo, e probabilmente non hai ancora manifestato i sintomi perché avevi il mio pugnale vicino. Ma ben presto te ne accorgerai».

Non era solo strano, non aveva tutte le rotelle del cervello al proprio posto. «Non ti credo» sussurro, abbassando lo sguardo sul terreno.

Ma che sto facendo? Invece di stare ad ascoltarlo, dovrei fuggire da qui. Cercare Derrin e Asso, una nave o qualsiasi cosa mi permetta di andarmene e di raggiungere di nuovo l'Aurea.

Sempre ammesso che sia in grado di ritrovarla e che esista ancora.

«Guardami» mi dice e questa volta lo fa con gentilezza e tono suadente. «Credi che la mia stessa ciurma mi tenga imprigionato senza motivo?».

«Che ne so di quello che fai? Non ti conosco». I nostri sguardi si incrociano ancora. Sembra affaticato. La pelle imperlata da gocce di sudore. I muscoli contratti. Il volto stanco. I pantaloni consumati e unti di fango. «E non hai per nulla l'aria da capitano, avrei dovuto capirlo subito».

«Infatti il capitano è Barbarouge. Io faccio solo parte della sua ciurma» mi spiega. «Ma non importa, se ti hanno trovato il mio pugnale addosso tra un po' sarò libero».

«Non avevo nessun pugnale con me» gli rivelo, sorridendogli sarcastica.

I suoi occhi prendono una piega allarmata. «Come? E io che credevo che il cielo avesse finalmente ascoltato le mie preghiere».

«Lo hai perso?» mi domanda dopo diversi attimi di silenzio.

Da quello che ne sapevo era rimasto nella cucina dell'Aurea Solas, che era finita chissà dove. «Temo di sì».

«Siamo spacciati» sibila «Come hai potuto perderlo?». Sento una rabbia repressa nella sua voce.

«No, tu sei spacciato» lo correggo «Io da qui, adesso me ne vado».

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