Capitolo 25

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L'oscurità viene improvvisamente rischiarata da una luce calda e abbagliante. I miei occhi, dopo esserne stati feriti, mettono a fuoco ciò che mi circonda. Gli alberi non sono verdi come quelli del bosco oltre il muro, ma bianchi e molto più bassi. I rami si protendono verso il basso, come se volessero toccare il terreno. Asso quasi li sfiora con la testa.

Le foglie hanno delle spesse venature argentate che si sfumano in una tonalità più sporca sulla parte attaccata al picciolo. Emanano luce come fossero lanterne. Perfino i rami e i tronchi degli alberi sono colonne chiare e lisce. Soltanto l'erba è rimasta la stessa. Verde, ma più luminosa, quasi fosse illuminata da raggi solari. Il tetto di rami è così intricato che copre ogni singolo pezzo di cielo ed io non capisco se è ancora notte o siamo passati al giorno.

Sento muoversi qualcosa dietro di me e girandomi noto che il buco nella muraglia si sta richiudendo. I rami si intrecciano come dita di mani che si stringono, producendo lo stesso suono di uno stridio da ruote arrugginite di una carrozza intenta a fermarsi.

«Ci siamo» afferma Githia soddisfatta. La sua pelle appare ancora più scura a causa di tutta quella luce. «Seguitemi».

I miei dubbi aumentano mentre cominciamo ad avanzare tra quegli alberi particolari e incantevoli. Avrei voluto che fossimo rimasti tutti insieme e i miei pensieri corrono per un attimo verso Derrin e Kalen. Spero di aver fatto la scelta giusta ad aver accettato il patto degli orchi.

Anche se una perfida sensazione di aver commesso qualcosa di sbagliato scuote il mio corpo e quasi mi fa venire i brividi.

Le foglie e i rami mi schiaffeggiano le braccia in quella folle fuga nella quale ci sta trascinando l'elfa. Sembravamo dei briganti che avevano appena compiuto un furto e stavano scappando con la refurtiva.

Nessuno ci ferma, nessuno ci viene incontro. Non dovrebbero esserci delle guardie a sorvegliare le mura di un reame?

Questo frangente non fa altro che aumentare i miei dubbi.

Githia si ferma e si guarda attorno, studiando gli alberi con occhi smarriti, come se si fosse persa. «Dovrebbe essere qui» commenta a denti stretti, visibilmente confusa.

«Che cosa dovrebbe essere qui?» le domandiamo insieme io e Asso senza fiato.

«Il palazzo degli elfi. Qualcosa lo occulta ai nostri occhi».

Comincio a osservare il bosco, ma non vedo altro che alberi. Tutti uguali tra loro. Anche se un lieve ronzio mi soffia nelle orecchie. Questo posto trasuda magia.

«Forse è lì» interviene Asso, indicando un ramo.

Githia si avvicina all'albero. Io non ci vedo nulla di strano. «Cosa vedi?» gli chiede.

«Sembra spezzato» risponde, facendo anche lui qualche passo verso il punto che le ha suggerito.

«Ti sbagli». L'elfa si protende in punta dei piedi e afferra il ramo per portarselo vicino ed esaminarlo accuratamente. Ne accarezza la superficie con il pollice e l'indice.

«Lo vedo diverso. Lainnyr tu che dici?».

Lo vedevo intatto, come probabilmente lo stava vedendo anche Githia.

Decido di avvicinarmi anche io, ma appena muovo un passo il ronzio si fa insistente e mi tappo le orecchie con i palmi. Anche Asso e Githia lo hanno sentito, e il ramo, sfuggito dalle mani dell'elfa torna al suo posto come fosse una frusta, disegnando una scia evanescente di luce nell'aria.

Ciò che attira il mio sguardo è la creatura fuoriuscita direttamente dal tronco, alle spalle dell'elfa. Un minuscolo esserino, simile a un insetto e poi un altro e un altro ancora. Githia si sposta di scatto, portandosi una mano al petto, vicino al cuore.

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