Capitolo 24

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Quando gli orchi decidono di liberarci comincio a sentire il sollievo farsi strada nel mio animo. Riuscivo a muovermi ma percepivo soltanto un leggero velo di magia ad offuscare i miei sensi. Mi tengono ancora sotto controllo e un paio di loro sono rimasti a farci la guardia ai piedi del grande albero.

Githia sparisce, dicendo che per gli orchi è l'ora del pasto e che prima di sera saremmo partiti verso un loro avamposto per decidere come agire.

Io e i miei compagni di viaggio siamo riuniti in cerchio, ancora seduti sul prato.

«Penso di sapere dove siamo capitati» rivelo, riflettendo. «Gli elfi candidi abitano una regione sperduta al di là dell'oceano. Una regione chiamata Endera».

«Al di là dell'oceano? Come faremo a tornare indietro?» domanda Asso visibilmente preoccupato, mentre si dondola sulle gambe.

«Nello stesso modo in cui siamo venuti» gli risponde Kalen, lanciandomi un'occhiata.

Io mi stringo nelle spalle, avvilita. Non sapevo esattamente come avrei dovuto aiutare l'elfa scura, senza farlo capire agli orchi. Quel compromesso non mi piaceva per nulla.

Restiamo a confabulare tra di noi, sottovoce, quasi come se le due guardie potessero capirci, e spiego loro come funziona la magia degli orchi, finché Githia ritorna tenendo tra le mani un vassoio di legno.

I due orchi vengono sostituiti da altri due compari e riconosco quello che mi aveva afferrata nella grotta sulla spiaggia. Ha una cicatrice che gli scende dal braccio fino al gomito. Scuoto la testa, cercando di non ricordare l'odore del suo sudore.

«Adesso siamo alleati» dice l'elfa, posando il vassoio sull'erba davanti a noi quattro. Su di esso ci sono quattro scodelle colme di foglie e piccole bacche bluastre e rossiccie. «Cibo elfico» ci spiega, anticipando le nostre richieste. «Non credo che mangereste ciò di cui si nutrono gli orchi».

«Ho una domanda da porti» le dico incerta, mentre Asso afferra una scodella per annusarne il contenuto. Quel quesito mi stava facendo scervellare.

Githia lo guarda, storcendo la bocca e poi fissa lo sguardo su di me «Ponimi i tuoi dubbi giovane magica».

«Hai detto che gli orchi sono stati schiavi dei maghi, ma se possono bloccarci non capisco come sia stato possibile».

Githia alza gli occhi verso le fronde scosse dal vento del grande albero. «Mi sembra così strano che tu non lo sappia. Ma forse eri ancora piccola quando sono accaduti gli eventi».

«Gli orchi non hanno posseduto da sempre la magia» mi racconta. «Fu un magico. Lucis era il suo nome. Non era contento del modo in cui i suoi compari magici trattavano il mio popolo e così creò questa abilità e gliela donò per permettergli di fuggire da Farvel, che era la loro casa insidiata dai magici. Da circa sedici anni il mio nuovo popolo si stabilì qui a Endera, dopo tanto girovagare in cerca di una nuova dimora. Prima nemmeno noi elfi avevamo mai visto simili creature».

Sussulto a sentire il nome di mio padre pronunciato da quella voce dolce. Lui aveva aiutato gli orchi. Forse era un uomo dal cuore buono. Anche se mi aveva abbandonata. Più continuo questo viaggio e più mi rendo conto di non saper nulla sul mio passato e mi convinco a mettere sulla bilancia tutto ciò che credevo reale.

«Se potessi trovare questo magico, lo ringrazierei. Non avrei mai incontrato Jorl se non avesse compiuto un simile atto di generosità. A volte non bisogna giudicare le persone solo per il popolo a cui appartengono. Ci sono sempre delle eccezioni». Le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso e non capisco se sta parlando degli orchi o dei maghi. O magari di entrambi.

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