Capitolo 26

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L'acqua che mi circonda è inconsistente. Sembra aria. Apro gli occhi di scatto e non sono più nel lago di quelle creature azzurre.

Una di loro mi ha chiamato per nome. Non so come dovrei sentirmi.

Se intimorita oppure fiduciosa.

La luce che mi avvolge si affievolisce e un vasto prato mi compare davanti. Le goccioline di brina grigiastra, che imperlano i fili d'erba della radura, splendono nei candidi raggi di un tiepido sole mattutino, facendo somigliare la pianura ad una distesa di metallo liquido. Un vento freddo fa ondeggiare le punte dei pini e l'erba incolta ai lati di quello che è un sentiero apparentemente nascosto nel bosco. Alza le ultime foglie secche, che vorticano tra loro, rincorrendosi nel gelo.

Sento l'aria accarezzarmi la pelle, ma non mi fa rabbrividire. Sbatto le palpebre incredula e la visione si modifica. Delle dita ossute spingono una porta in legno verde di una piccola dimora rossa, immersa in un boschetto di conifere dello stesso colore. 

Alberi rossi con occhi e bocche scolpiti nella corteccia.

Lo riconosco. È il bosco dei Parlanti. Perché sono qui?

Quella mano sembra appartenere a me, ed entro con il viaggiatore nella casa.

Si blocca di scatto e sento il suo cuore colmarsi di sorpresa, quasi fosse stato il mio. Una donna dai lunghi capelli castano chiaro e gli occhi grigi è seduta accanto ad un tavolo color ebano.

Si tiene le mani strette in grembo e alza lo sguardo frettolosamente, come se quel viaggiatore avesse interrotto dei suoi ragionamenti.

«Che cosa ti porta nella mia dimora?» le domanda l'uomo. Dalla voce deduco che è molto anziano e poi quel timbro mi sembra di conoscerlo.

La donna si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Un mantello verde decorato da soli argentati le ricopre le spalle.

«Perdonami Jarleth, se non ho aspettato fuori. Ma non sono più abituata all'inverno di queste parti».

Jarleth. Il mio cuore impazzisce e un formicolio mi fa prudere le mani.

Il vecchio si avvicina e prende posto alla sedia di fronte a lei. «Non perderti in convenevoli inutili e parla. Le tue visite portano sempre e solo cattive notizie».

La donna si stringe le mani nascoste sotto al tavolo. «Sono qui a causa di Lucis. Quell'uomo sconsiderato...».

«Quell'uomo che tu hai seguito, Methara» la interrompe Jarleth, con una lieve traccia di rabbia nella voce.

Osservo meglio quella maga. Così è questo il volto della temuta traditrice che esiliarono per aver provato ad oltrepassare le leggi dei Saggi e del popolo magico. Il viso stanco, gli occhi velati da occhiaie violacee, la pelle bianchissima. Abbassa lo sguardo triste sul ripiano, come se fosse appena stata sgridata.

Non aveva per nulla l'apparenza di una persona perfida, semmai sembrava distrutta.

«Ha compiuto un'azione ignobile» continua, come se non avesse ascoltato ciò che le aveva detto il vecchio. «Credeva di poter spezzare il Vincolo. Si è sempre creduto tanto potente».

«E lo è!» inveisce il mago. «Lucis è qualcosa di spettacolare, ma il Vincolo non può essere rotto. Quello che mi stai dicendo è incredibile. Cosa ha fatto? Ogni mago con un po' di sale in zucca sa che non possiamo avere figli con gli umani».

«La regina di Zenevia» la voce di Methara comincia a tremare. «Lui lo ha fatto... Avrà un figlio con una donna. Una donna ricca e importante per il regno degli uomini».

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