Capitolo 9

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Decido di passare il resto del viaggio nella stiva, per evitare di incenerire involontariamente il capitano Antares, a causa della sue assurde volontà.

Guardo le ombre della mia sagoma danzare sulla parete di legno marrone chiaro. Si muovono ad ogni mio spostamento, proiettate dalla luce degli incanalatori. Per combattere le varie sensazioni che si mescolano nel mio animo, mi metto a giocherellare con il pugnale. Il mio nuovo pugnale, o meglio il primo che io abbia mai posseduto. Lo sto facendo volteggiare nell'aria, lanciandolo e riprendendolo sempre il manico dell'elsa intarsiata.

L'ombra dei suoi ampi cerchi oscilla sul muro. Lo sto per riafferrare quando il fruscio improvviso della stoffa blu mi prende alla sprovvista. La mia mano scatta troppo velocemente e afferra la lama procurandomi un taglio sul palmo destro. Una sottile striscia obliqua, che ben presto si colora di liquido cremisi.

Sussulto per il bruciore.

«Scusami, non volevo spaventarti». La voce di Derrin mi spinge a guardare verso l'alto e incontrare i suoi occhi. «Ti sei tagliata» non suona proprio come una domanda, ma il suo sguardo è incredulo.

«È solo un graffio» replico. La frustrazione provocata dall'atteggiamento del capitano risiede ancora nel mio tono di voce e nel mio umore.

«Prendo qualcosa per fasciarti».

Evito di guardare Derrin che si china sul suo baule. Mi fisso il palmo, lo porto vicino alle labbra. Il mio sussurro è quasi impercettibile, coperto dal rumore della chiave che gira nella toppa.

«Veseryl». Premo le labbra sulla ferita che si rimargina all'istante, lasciando una piccola traccia più pallida della mia carnagione. La osservo soddisfatta. Scomparirà tra qualche giorno. 

Questa abitudine è una condanna ormai. Non sarei riuscita facilmente a smettere di usare la magia. Dal momento che fino a qualche tempo fa la usavo per aiutarmi a fare quasi ogni cosa.

Abbasso il palmo sul mio ginocchio, lasciandolo rivolto verso l'alto. Derrin si accuccia davanti a me e tocca la linea con il pollice, facendolo scorrere per tutta la lunghezza del mio palmo. Nell'altra mano ha un pezzo di stoffa bianca.

«Te l'ho detto, era solo un graffio».

Lui aggrotta le sopracciglia confuso. «Mi sembrava che sanguinasse». Non si era accorto di nulla.

«Brens mi ha raccontato cosa è successo» continua, lasciando fortunatamente in sospeso il mio taglio e porgendomi il pugnale.

Mi ero rintanata nella stiva per starmene in santa pace, ma adesso la presenza di Derrin, anche se lo conosco a malapena, mi fa quasi piacere.

«Ho una zia che lavora in una taverna. Lì, a Zenevia. Se proprio non potrai venire con noi» mi rivela, esasperato. Probabilmente il capitano era stato a parlare con suo nonno. Si passa una mano tra i capelli, innervosito, scompigliandoseli. «Penso che sarà disposta ad offrirti un alloggio, in cambio di un aiuto».

Lavorare in una taverna?  A Farvel, nel palazzo la magia serviva ogni mago. I piatti erano composti da minerali che potevano essere manovrati dal richiamo magico, e quindi si servivano ai tavoli da soli all'ora dei pasti. Non avevo mai davvero svolto un lavoro domestico. Avevo incominciato a cucinare da sola quando ero fuggita, ma non me la cavavo bene.

E poi la nave volante costituisce un riparo molto più sicuro dai guardiani inseguitori, rispetto a una taverna in una qualsiasi città.

Una smorfia mi contorce le labbra. Aveva davvero così tanto potere decisionale quel capitano? Anche se chi manovrava quel gigante volante erano solo Derrin e suo nonno.

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