Capitolo 28

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Io ed Asso ci mescoliamo alla perfezione con la folla di gente che si dirige intrepida verso una grande piazza circolare, coperta da un tetto di rami argentei, al cui centro si intravede un pezzo di cielo terso. È giorno. Questo significa che non saremo di ritorno per l'alba.

Penso di nuovo a Kalen e Derrin, al di là del muro insieme a quegli orchi con cui non possono nemmeno comunicare. Asso intuisce il mio rammarico e mi stringe leggermente le dita, richiamando il mio sguardo nei suoi occhi per un attimo.

La sua espressione sembra volermi dire che andrà tutto bene, ma non ne sono certa.

Oltre le teste incappucciate, davanti a noi, al limitare del cerchio, i tronchi degli alberi sembrano fondersi con una costruzione bianca che ne sovrasta le chiome di qualche centimetro con delle guglie che appaiono decorate da tessuto di merletto. I rami degli alberi attorno sembrano nascere direttamente dalle mura. Uno stretto viale coperto da una tettoia di rami, che si protendono a intrecciarsi gli uni con gli altri, ne incorniciano l'entrata.

Deve trattarsi del palazzo. Non era maestoso come quello dei Saggi o quello di Zenevia, ma sicuramente spiccava tra le altre abitazioni.

Il vociare dei candidi attorno a noi si fa più intenso, in una lingua diversa e sconosciuta, molto simile a quella degli orchi. Una piccola bambina che tiene la mano della madre si volta ad osservarci, e io in automatico mi calo meglio il cappuccio sulla testa.

I suoi occhi verdi sembrano sorridermi, prima di tornare a guardare davanti a sé. Due elfi rivestiti da una cotta di maglia grigia e i lunghi capelli legati in una treccia che scende loro dietro la schiena, sbucano improvvisamente dagli alberi attorno alla piazza e si posizionano davanti all'entrata del viale.

«Sidhea ae lear ras» prorompe uno di loro, facendo ammutolire la folla. «Igsdiar la freai derha nerimanai».

Mi guardo attorno in cerca di una reazione da parte del pubblico. Gli elfi si cercano nelle tasche qualcosa e noto che alcuni di loro tirano fuori un pezzo di pergamena bordato da una filigrana dorata. Poi in una fila ordinata cominciano ad avanzare verso le guardie. Forse per passare l'entrata del palazzo devono esibire quello strano invito e siamo capitati in una qualche festa.

Asso mi sussurra all'orecchio ciò che penso anche io e le persone dietro di noi ci spingono a proseguire per non fermare la fila che procede veloce.

Un rivolo di sudore freddo mi corre giù lungo la schiena. E ora come faremo? Pochi elfi più avanti di noi mostrano la pergamena ad una delle guardie che la controlla scrupolosamente e poi con un cenno li invita a passare sotto l'arco di rami, verso il palazzo.

Due bambini cercano di rincorrersi ma vengono richiamati dai genitori e una giovane coppietta di fronte a me chiacchiera animatamente con quelle parole che non posso comprendere, ma sembra felice.

Prontamente Asso fa lo sgambetto a un elfo che passa accanto a lui, e che si tiene stretto il suo invito tra le mani, con un sorriso ebete stampato sul volto pallido. Il giovane cade, inciampando sul piede di Asso che si china per aiutarlo e mentre la folla si allarga per lasciargli lo spazio necessario per rialzarsi,  recupera l'invito scivolato a terra con il malcapitato. Tutto succede così velocemente che anche io faccio fatica ad accorgermene.

Il giovane gli sussurra qualcosa ed Asso gli da una pacca leggera sulla spalla e gli sorrise a sua volta, come se lo avesse capito. Poi velocemente mi prende sottobraccio e si copre l'invito sotto un lembo di mantello.

«Sei un ladro» biascico sottovoce, mentre osservo il giovane elfo tastarsi la tunica azzurra, alla ricerca dell'invito appena perduto.

Asso mi strattona per farmi tornare a guardare avanti. «No, siamo due ladri» mi corregge divertito.

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