Capitolo 16

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I due uomini mi conducono su per delle scalinate incavate direttamente nella roccia, che immagino porteranno verso la superficie. Continuo a cercare di opporre un'inutile resistenza. Loro sono come due colossi che mi trascinano dove vogliono. Scie luminose si fanno sempre più vicine mentre raggiungiamo l'uscita del tunnel.

La luce del giorno mi ferisce con violenza gli occhi. Abbasso le palpebre finché si abituano a quell'improvviso cambiamento. Davanti a me si apre una distesa erbosa puntellata da strane capanne di legno coperte da tetti di paglia e tende colorate. Assomiglia ad un ovale costeggiato dalla stessa foresta scura che avevo notato sulla spiaggia. Ma alla luce del sole incuteva sicuramente meno paura.

Il capitano con lentezza studiata si posiziona davanti a me. «Come ti senti?» mi domanda fingendo gentilezza.

«Come dovrei sentirmi?» chiedo io, fissando i fili d'erba lunghi tra le dita dei miei piedi.

«Deve essere ancora debole, capitano» commenta il colosso scuro alla mia sinistra. «Dopotutto la sua pelle avrà assorbito tanto nettare».

Il capitano si appoggia l'indice nodoso e il pollice sotto il mento e con fare pensieroso annuisce. «Finché non si riprenderà un po' non ci sarà utile. Va a chiamare mio figlio e anche Domina» ordina al colosso bendato, che mi lascia il braccio. Ma viene subito afferrato dal suo compare, che mi intrappola da solo mettendosi dietro di me. L'altro invece se ne va di tutta fretta verso le case e poi scompare dalla mia traiettoria all'interno della radura.

«Qual'è il tuo nome maga?» mi domanda il capitano passeggiando avanti e indietro. Ma io continuo ad osservare i suoi stivali neri calpestare il terreno a poca distanza da me.

«Il gatto le ha mangiato la lingua» ride, imitato poi dall'uomo alle mie spalle.

Un moto di debolezza mi fa vacillare e credo che crollerei al suolo, in ginocchio, se non mi trattenessero in piedi.

Non sapevo come liberarmi, la magia continuava a non volermi rispondere. Non avrei mai creduto di arrivare a poterla desiderare così tanto.

Alzo il viso solo quando dei passi si avvicinano e noto alle spalle del capitano, il colosso bendato avanzare verso di noi. Seguito a ruota da un ragazzo alto e muscoloso con i capelli rossi e gli occhi di un blu acceso, avvolto da un'elegante giacca cremisi dall'aria preziosa e una donna dai lunghi capelli scuri raccolti di lato, stretta in una veste nera e la pelle olivastra ricoperta di disegni del medesimo nero. Sembrava che le maniche della sua veste volessero ripercorrere le sue braccia sotto forma di filamenti.

«Domina, esamina questa ragazzina e dimmi quando finirà l'effetto del nettare» ordina il capitano alla donna, che dopo avermi lanciato un'occhiata di sfida si avvicina a me.

Ci fissiamo negli occhi. I suoi sono intensi, di un marrone scuro, nel quale si rispecchia il mio riflesso stanco. Adesso che è di fronte a me, noto che i suoi capelli solo da un lato sono lunghi e ondulati, mentre dal lato sinistro sono corti, quasi rasati.

Mi prende le mani ancora legate e le rigira tra le sue. Magre, ossute e tremendamente gelide. Non vorrei mi toccasse ma non ho altra scelta che lasciarla fare. Fisso i disegni sulla sua pelle, non sembrano rune, ma assomigliano più a segni marcati di inchiostro nella carne. Formano linee sinuose che si arrotolano tra loro.

«Ancora un'ora, massimo un'ora e mezza e comincerà a ristabilirsi. Allora potrà affrontare la prova» decreta con una vocina nasale e mi lascia andare.

«La riporto in cella?» domanda l'uomo alle mie spalle.

«Preferivo lasciarla a Zenith. Kalen non mi sembra molto di compagnia e la farà innervosire» risponde il capitano assorto nei suoi pensieri. «Tu che ne dici figliolo, ti piace?».

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