Capitolo 39

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«Padre!».

Quella voce mi fa voltare di scatto dalla banchina sommersa dalla nebbia. Nuvole dense fluttuavano direttamente sull'acqua del mare, nascondendo la profondità dell'azzurro.

«Padre!» grida di nuovo, una bambina con due trecce brune. Corre verso di me tenendosi le pieghe della lunga gonna marrone con le mani.

Si avvicina velocemente, mentre mi irrigidisco.

La osservo, ma i suoi occhi sono fissi su qualcosa oltre di me. Ha gli occhi lucidi. Sta trattenendo le lacrime.

Mi supera e il mio sguardo si gira con lei, per vederla volare tra le braccia di un uomo calvo.

«Amberlyn!» la chiama, accarezzandole la testa.  

«Padre, sei qui. Sei veramente qui» gli sussurra tra i singhiozzi.

Qualcosa scivola dalla tasca dell'uomo. Un cavallino intagliato nel legno.

«Sono qui. Non piangere, sono qui».

La voce dell'uomo sembra surreale, come se non credesse nemmeno lui a quello che sta dicendo.

Poco più in là scorgo la figura di Kalen. Mi sta osservando sbattendo le palpebre. Un mezzo sorriso gli increspa le labbra e mi segna con il mento Derrin che sta stringendo il nonno. Non più di pietra ma di carne e ossa.

Si stanno dicendo qualcosa, ma sono troppo lontani perché io riesca a sentirli.

Abbasso gli occhi sulle mie mani e le stringo. Sembra troppo reale per essere un sogno. 

Siamo tornati indietro, grazie alla polvere.

«Devo essermi perso qualcosa» bofonchia una voce facendomi alzare lo sguardo.

«Brens!» il suo nome mi sfugge dalle labbra.

Il vecchio cantastorie si passa una mano tra i pochi capelli. «Dove accidenti è il mio cappello?». Si passa una mano tra i capelli e due rughe gli solcano la fronte quando mi fissa. Faccio un passo verso di lui e lui fa altrettanto, fino ad arrivare di fronte a me e posarmi una delle sue grandi mani sulla spalla.

«Cos'è successo? Siete vivi?» mi guarda come se fossi un fantasma.

«Siamo vivi. Siamo a Zenevia e stiamo tutti bene» gli rispondo sorridendogli.

«Vi ho visti cadere nel mare... quel giorno». Ora i suoi occhi sono persi nel vuoto, come se stesse cercando di ricordare. «Quel giorno...».

La mia mano destra raggiunge la sua. «Non importa. Siamo sani e salvi adesso».

«Non tutti» aggiunge un'altra voce e mi accorgo del capitano dell'Aurea. Ha il braccio sinistro fasciato e i suoi occhi scuri sono caricati dalla solita ostilità. Distoglie gli occhi da me per controllare tutti i superstiti.

«Abbiamo fatto il possibile» gli rispondo abbassando lo sguardo a terra e trattenendo un sospiro frustrato. Non ero riuscita a salvare tutti.

«Dovrai raccontarmi come hai fatto, signorina. Altrimenti non finirò mai la mia ballata». Brens mi alza il mento con due dita e mi sorride tirato.

Annuisco, cercando di controllare il senso di colpa che ancora mi attanagliava lo stomaco se ripensavo ad Asso, al cuoco della nave e a tanti altri uomini dispersi.

«Dobbiamo tornare in casa. Via dalla strada. I soldati sono in città» ci interrompe la bambina. Il padre le circonda ancora le spalle. Hanno entrambi le guance rigate dalle lacrime, ma gli occhi della figlia sono colmi di preoccupazione e paura in questo momento.

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