Capitolo 32

1.2K 77 13
                                    

Ciò che questo viaggio mi stava insegnando era di mettere da parte le mie emozioni. Non potevo fermarmi a soffrire per l'abbandono di Asso, per quanto la sua scomparsa mi pesasse sul cuore e i sensi di colpa mi lacerassero a partire dalle viscere fino a provocarmi un terribile nodo alla gola.

Non avevo mai visto in faccia la morte. Non avevo mai rischiato così tanto per la mia vita. E così cominciavo a pensare che in fin dei conti, la reclusione a Farvel mi teneva protetta dai pericoli presenti nel mondo esterno. Ma non per questo sarei tornata al punto di partenza. Ormai avevo deciso cosa sarebbe stato più  giusto fare. Lo avevo meditato a fondo, passo dopo passo, collina dopo collina.

Continuavo a sperare che Asso si fosse salvato e il solo modo per non vanificare il suo sacrificio era quello di portare a termine la sua missione.

Per cui dopo aver salvato Brens, il nonno di Derrin e chi rimaneva dell'equipaggio della nave volante, avrei trovato il modo per tornare a Zenevia e affrontato mia sorella ad ogni costo per evitare che la magia flagellasse il regno di Asso.

Avrei salvato Magnolia e il regno stesso di Alrisha, e se non ci fossi riuscita allora sarei morta provandoci.

Secondo il mio maestro non potevo farcela, ma dentro di me sentivo crescere una forza di volontà inarrestabile. Ciò che questo viaggio mi stava insegnando era il modo di richiamare questa forza, nascosta da qualche parte dentro di me, e di utilizzarla per non cadere di fronte alle difficoltà.

Mi dispiace Jarleth, ma questa volta non mi nasconderò.

Questa volta non lascerò che la magia si intrometta nella mia vita e mi costringa a rispettare ciò che disegna per me.

Mi sentivo però sfinita. Come se avessi appena scalato una ripida montagna a mani nude e ogni volta scivolassi giù nel basso, senza mai riuscire ad arrivare alla cima. In realtà una parete rocciosa la stavamo scalando per davvero. Il bosco si era fatto più fitto, il vento più freddo a causa dell'altitudine, ma quel posto sembrava disabitato perfino dagli animali stessi e questo mi rendeva irrequieta.

Il viaggio era continuato in un intenso silenzio costellato dalle mie notti insonni. Facevo incubi in cui rivedevo gli occhi di Asso diventare o completamente neri oppure farsi vitrei e senza anima.

Incubi in cui mio padre mi trafiggeva con una spada e la sua voce era identica a quella di Jarleth e mi gridava di fuggire e poi rientravo nel lago delle piccole creature azzurre, solo che al posto dell'acqua mi immergevo nel sangue.

Derrin provava a consolarmi in tutti i modi, cercando di calmarmi quando mi svegliavo di soprassalto, destando dal sonno anche i miei compagni di viaggio. Mi sistema i ciuffi corti, sudati e ribelli dietro le orecchie e mi chiedeva se volessi bere un po' d'acqua. Kalen invece mi fissava e mi diceva soltanto di svuotare la mente. Qualcosa di impossibile.

Asso si era sacrificato per salvarmi e avrei dovuto portarne il peso per sempre. Questo non potevo cambiarlo con nessun incantesimo.

Dovevo soltanto trovare la forza di andare avanti. Per me e per lui.

Ogni tanto decidevo di impiantare, anche io, i miei occhi nei suoi. Kalen non distoglieva mai lo sguardo per primo, mentre io cominciavo a vergognarmi di nuovo per la scenata che avevo fatto di fronte a loro due. Ma entrambi non avevano più fatto domande su cosa era accaduto nel boschetto degli elfi, aiutandomi a non focalizzarmi soltanto sulla morte di Asso.

«Dovremmo essere quasi arrivati» dice Kalen, una sera imprecisata, visto che ho perso il conto di quante ne sono trascorse, mentre controlla la mappa, rigirandosela tra le mani. La luce del piccolo falò che abbiamo acceso gli accarezza il volto nell'oscurità notturna e fa sembrare i suoi occhi quasi felini.

Polvere di LuceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora