3. Kevlasol

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La sensazione che provò dopo aver saltato non assomigliava a niente di cui avesse mai fatto esperienza.

Per un attimo, Nathan scivolò lungo una superficie inclinata, piatta e metallica. Quando la rampa terminò, si ritrovò nel vuoto, immerso nell'oscurità più totale, e continuò a cadere per molti secondi senza mai trovare nulla intorno a sé, nonostante si stesse sforzando di protendere gli arti il più possibile.

La sommità della città-fungo si trovava a svariate centinaia di metri da terra.

Ad un certo punto, il condotto fece una brusca deviazione, su cui il malcapitato batté con violenza un ginocchio e una spalla. Purtroppo, ogni gomito del percorso era studiato apposta per condurre qualsiasi oggetto verso il basso: Nathan non riuscì nemmeno a rallentare, che già era nel ramo successivo, ancora più grande.

Trovò ancora due deviazioni, senza che si riuscisse a intravedere la fine del percorso.

Ogni impatto era più violento e doloroso del precedente.

Agitava forsennatamente gambe e braccia, torcendosi e roteando senza alcun risultato. Gli sembrava di cadere da interi minuti, anche se ovviamente non era possibile.

L'oscurità opprimente dilatava perfino la percezione del tempo, e rendeva il tutto ancora più terrificante.

In tasca non aveva nulla di utile, niente che potesse in qualche modo rallentare la caduta.

All'improvviso, percepì un debole chiarore sotto di lui: la fine del canale!

Il cerchio luminoso si ingrandì con una rapidità pazzesca. Ora che c'era qualcosa da guardare, Nathan si rese conto di quanto stesse cadendo velocemente, e sentì annodarsi lo stomaco: non aveva nessuna possibilità di sopravvivere.

Chiuse gli occhi, pensando che forse avrebbe dovuto lasciar fare ai robot.

L'impatto fu violento, ma diverso da come se lo aspettava.

Anziché spiaccicarsi contro una superficie solida, ebbe l'impressione di entrare dentro qualcosa di morbido, che lo avvolse, lo circondò, lo frenò, stringendosi sempre più intorno a lui, fino ad arrestare la sua corsa.

Aprì gli occhi: era fermo, esclusa una leggera oscillazione.

Il bordo del condotto era frastagliato, probabilmente dove un oggetto di una certa dimensione l'aveva colpito con violenza a causa dell'inerzia.

Una pesante tenda in kevlasol si era impigliata in quelle sporgenze, e nel tempo aveva catturato gli oggetti più disparati: una sedia con solo due gambe, un paralume, pezzi di tubo, vari contenitori in plastica. Tutti penzolavano come pesci catturati in una rete, inclusi Nathan... e il suo androide-balia, poco più in basso.

«Bubi! Stai bene?»
Nessuna risposta. 

Nathan provò a raggiungerlo, ma la tela si strappò di colpo, facendolo scendere di un metro buono.

Il materiale, studiato per proteggere le colture e fornire energia fotovoltaica al tempo stesso, era molto resistente; ma evidentemente il peso sommato di tutte quelle cose era troppo per lui.

Il ragazzo si immobilizzò, lasciandosi ondeggiare avanti e indietro.

Il tessuto gli si era arrotolato strettamente intorno a una coscia, in vita e lungo un braccio, l'attrazione della forza di gravità faceva sì che i punti di contatto gli dolessero già molto.

Grugnì, guardandosi attorno in cerca di una soluzione.

Ma non ce ne fu bisogno: con uno strappo sonoro, la tenda cedette del tutto, arrendendosi a quel carico eccessivo.

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora