5. Un luogo in cui stare - (I)

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Quando si svegliò al sicuro nel proprio letto, tirò un sospiro di sollievo. L'incubo era stato così realistico, che si sentiva davvero acciaccato e dolorante.
Un post sbronza da dimenticare... O forse, al contrario, da ricordare e raccontare, per riderci insieme.

«Luci.» Ordinò, stiracchiandosi. Non successe nulla.
Una fitta al fianco gli strappò un gemito e un violento colpo di tosse. Quando si era procurato quella botta? Non riusciva a ricordarlo.

Si tirò a sedere, mentre il battito cardiaco aumentava rapidamente la frequenza.
«Luci!» Ripeté, a voce più alta, con una certa urgenza.
Doveva esserci un guasto al sistema, si disse.

Man mano che l'intorpidimento da sonno lo abbandonava, però, i suoi sensi cominciarono a raccontargli una verità diversa.
Il giaciglio in cui aveva dormito era sottile, sfondato e scomodo; al posto delle sue morbide lenzuola in fibra di cotonmais c'era una sola coperta, ruvida e sbrindellata. C'era odore di legno bagnato e frutta troppo matura, non l'essenza di vaniglia che, di solito, il sistema di aerazione diffondeva ovunque. Ora che i suoi occhi si stavano abituando alla penombra, riusciva a distinguere sempre più particolari di quell'ambiente sconosciuto, grande meno di un terzo della sua camera. I letti erano addossati a una parete: oltre a quello su cui si trovava lui, ce n'era anche uno a castello.

Il lato opposto era occupato da mobili di diverso stile, spesso costruiti combinando pezzi diversi, e da una quantità di mensole e ripiani ingombri di oggetti.
Al centro c'era un tavolo quadrato, al quale sedeva una figura incappucciata, intenta in un lavoro manuale.
Non sembravano esserci finestre: l'unica luce filtrava dalla porta socchiusa e da alcune fessure nelle pareti.

«Qui non c'è corrente elettrica, vostra maestà.» Disse la sconosciuta, prendendolo in giro. «Ci arrangiamo come meglio possiamo.»

Nathan trasalì nel riconoscere la voce della persona che l'aveva sottratto ai banditi.

Non era stato un sogno, allora!

Sentì che un attacco di panico stava per travolgerlo. Se era tutto vero... la sua vita per come la conosceva prima, era finita!
Provò ad alzarsi, ma fu colto da un capogiro così violento da doversi subito sedere di nuovo.

Lei lasciò quello che stava facendo e si precipitò al suo capezzale. «Vacci piano, tigre! Eri conciato davvero male...»
«Mi ha hai curato tu?» Chiese il giovane, osservando le bende pulite che ricoprivano buona parte del suo corpo.

L'altra si strinse nelle spalle. «Non sono un medico, ma me la cavo in queste cose.» Svolse una garza dall'avambraccio del convalescente, e passò un dito lungo quello che era stato un taglio profondo, già quasi completamente rimarginato. «Ti ho somministrato anche antibiotici, cicatrizzanti e ricostituenti. Oltre a mantenerti idratato, ovviamente.»
«Credevo che non fosse facile procurarsi medicinali, qui.»
«Non lo è, infatti. Ma ho i miei agganci.»
«Questa è casa tua?»

«Io non ho una casa, qui nella città-discarica. Non ne ho bisogno.» Fece di nuovo spallucce e, apparentemente soddisfatta dalla guarigione del suo paziente, si rialzò e tornò al tavolo. «Comunque, stai tranquillo: nessuno ci manderà via.»

Qualcosa, nel tono in cui lo disse, gli fece rizzare i capelli sulla nuca. «Come puoi esserne così sicura?»

«Gli abitanti sono stati contagiati dal morbo blu. La casa è stata messa in quarantena, e non potrà essere occupata per almeno un paio di settimane.»

Nathan saltò su di scatto, passandosi le mani sul corpo nell'inutile tentativo di ripulirsi da germi invisibili. «Ma sei fuori? Mi ha hai messo nel letto che...»
«Calmati, ti stai rendendo ridicolo.» Lo interruppe lei, senza scomporsi. «Sei lì da tre giorni, ormai: qualunque cosa ci fosse stata, è tardi per preoccuparsene.»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora