15. Un aiuto (di)sperato (II)

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Il ragazzo aveva dedicato praticamente ogni momento libero alla costruzione dei miglioramenti per il suo androide e alla loro installazione, scoprendo anche di possedere un certo talento per tale attività. Ciò che lasciò la stamberga insieme a lui era ormai assai diverso dalla balia che l'aveva accudito nei primi anni della sua vita.

Al posto di quelle ruote così inutili sul terreno, ora c'era una coppia di cingoli; il braccio mancante era stato sostituito con un'appendice multifunzione, un po' troppo grande per lui, forse, ma in grado di cambiare utensile in meno di tre secondi tra: torcia al plasma, lampada led ad alta efficienza, coltello ionico, avvitatore elettrico e un comodo jack universale per collegarsi praticamente a qualsiasi dispositivo. L'altro braccio era stato potenziato con dei nuovi attuatori, datati, lenti e ossidati, ma molto più potenti dei loro predecessori.

Anche il look era cambiato: la vernice rosa era davvero troppo appariscente, così Nathan ne aveva grattato via lo strato più superficiale, insieme agli adesivi sopravvissuti al passare degli anni. Per prevenire l'ossidazione, aveva poi fatto colare sulla scocca la plastica sciolta da cui Allison era solita ricavare la materia prima per gli oggetti che intagliava, e si era sforzato di distribuirla il più possibile con uno spessore uniforme.

Il colore di quell'amalgama eterogenea era un verdastro tendente al grigio, che aveva conferito all'androide un aspetto vagamente militare. Se magari non era sufficiente a fargli incutere soggezione, quantomeno contribuiva a non attirare l'attenzione dei passanti.

Si avviarono a passo spedito verso l'agglomerato principale della città-discarica.

Allison camminava in testa, appena dietro allo sconosciuto; sembrava più che mai decisa a lasciarlo indietro. Nathan però era determinato a fare di testa propria e, seppur distanziato di qualche metro, si impegnò per starle dietro, nonostante la gamba ferita continuasse a scoccargli fitte dolorose, di tanto in tanto. In compenso, Bubi gli trotterellava al fianco senza più nessuna difficoltà, grazie ai suoi nuovi "piedi" e, soprattutto, a due nuovi motori elettrici montati all'esterno, che coadiuvavano quello principale.

Quando cominciarono a infilarsi nel dedalo di viuzze incastonate tra le catapecchie di legno e lamiera affastellate l'una sull'altra, Allison fu costretta a rallentare, e il giovane riuscì a raggiungerla. Dato che spesso dovevano procedere in fila indiana, non aveva la possibilità di vederla in faccia, ma decise di rivolgerle ugualmente la parola, nel tentativo di mettere un po' d'ordine nella confusione che aveva in testa.

«Quel tizio ha detto qualcosa riguardo lo stato del paziente?» s'informò, prima di tutto.
«Stato? Che intendi?» si stupì l'altra.
«Nel senso... In che condizioni si trova. A che livello è.»
Lei si lasciò sfuggire un moto di scherno. «Non c'è niente da dire.» commentò, sibillina.
«Beh, poteva essere utile per capire se puoi curarlo oppure no.» notò il ragazzo.
«Non posso curarlo, a prescindere dallo...» esitò un attimo, per dare maggior enfasi alla parola «"stato" in cui si trova.»

Nathan era sempre più perplesso.

Si fermarono di botto, per consentire a un gruppo di ragazzini urlanti di attraversare il passaggio che stavano percorrendo. Sbucarono fuori dallo spazio tra due capanne, inseguendo un pallone malconcio e mezzo sgonfio, e sparirono oltre l'angolo di un altro edificio.

Quando si rimisero in movimento, si avvicinò alla propria compagna e le chiese a bassa voce: «Quel signore lo sa, che non puoi fare niente per lui?»
Lei si voltò, conficcando lo sguardo nel suo. «Il Morbo Blu infetta gli organi interni, e li porta al collasso. È assai raro che qualcuno sopravviva più di settantadue ore dal sopraggiungere dei sintomi: non c'è modo di far fronte a una simile rapidità. L'unico rimedio efficace è iniettare delle nano-macchine che ne contrastino l'opera, ma è un sistema che funziona soltanto se tempestivo... E comunque, chi vive qui» soggiunse, indicando lo spazio circostante con entrambe le braccia «ovviamente non ha la minima possibilità di accedere a tale rimedio.»

«È questo che stai facendo, allora? Cerchi una cura alternativa?»

«Trovare da sola una terapia nuova, che risulti accessibile dai diseredati che vivono qui, va oltre le mie possibilità.»

Nathan sgranò gli occhi: la scelta di quel termine lo aveva colpito particolarmente.
Pensare a chi era costretto a vivere in quell'inferno come a uno straccione, un poveraccio o anche soltanto una persona meno fortunata di lui, gli aveva consentito, fino a quel momento, di mantenere un certo distacco, di fargli credere di essere migliore o, quanto meno, diverso.
Realizzare che lui rientrava a pieno titolo nella schiera di coloro che erano stati privati di ciò che gli spettava, gli fece percepire per la prima volta l'irreversibilità della sua condizione.

Superarono un rivoletto di liquame scuro, denso e maleodorante.

La carenza d'acqua aveva tragiche ripercussioni anche sull'igiene personale: da qualche parte, una latrina doveva essere tracimata, rigurgitando quell'oscenità. Meno di un metro più in là, un'anziana assisa dietro a un banchetto sgangherato vendeva code di topo essiccate e frittelle di polpa di blatta. Sia lei che il tavolo sembravano essere tenuti insieme dalla pura forza di volontà.
I clienti, con le loro scarpe, avevano steso uno strato di lerciume ai piedi della mercanzia.

«Se le cose stanno così, cosa stiamo andando a fare?» indagò il giovane.
«Non si sa ancora niente sulle modalità di trasmissione.» riprese Allison. «Per esempio, ci sono persone e, soprattutto, mezzi, che scendono qui dalla città-fungo quasi giornalmente, e posso assicurarti che la loro disinfezione è alquanto approssimativa: com'è possibile che lassù quasi non si verifichino casi, allora?»

Nathan arricciò il naso, scavalcando un sacco di immondizia tutto sbrindellato, al cui interno si intravedeva il movimento di grosse larve giallognole, e pensò che non doveva essere affatto difficile contrarre una morbo terribile, là in mezzo.

Preferendo però non dare voce a quelle idee, domandò invece: «è di questo che si tratta, dunque. Vuoi scoprire come avviene il contagio.»

La loro guida si fermò davanti a un sottile foglio di lamiera rosicchiato dalla ruggine, appoggiato in equilibrio precario sul varco di una parete fatta di assi di legno, secche e mangiate dai tarli; i numerosi e consistenti spazi vuoti tra l'una e l'altra erano stati coperti alla bell'e meglio con dei teli di plastica sporchi e laceri. Il padrone di casa rimosse la copertura dall'ingresso, sopra al quale era stato appeso, con del filo di ferro arrugginito, uno straccio blu.
Il giovane notò che non c'era alcun segno di cardini, e concluse che l'uscio doveva essere in quelle condizioni da sempre.

Con sua sorpresa, la sua compagna di viaggio gli rivolse tutta la propria attenzione, anziché entrare subito. «Qual è la prima cosa che penseresti, se ti dicessi che potresti ammalarti di un virus mortale e incurabile?»
Non ebbe bisogno di pensare alla risposta. «Mi augurerei di non prenderlo mai!»
Lei annuì soddisfatta. «Esatto! Dobbiamo fare in modo che le persone riescano a evitare di infettarsi, dato che non siamo in grado di curarle. E per fare questo, dobbiamo comprendere in che modo l'epidemia si diffonde.»

Lui rimase a fissarla: con il volto bendato per proteggere la sua identità segreta, un pozzo di oscurità spalancato alle sue spalle come la bocca di un mostro famelico, e la luce del sole che, rimbalzando tra i tetti di lamiera, la illuminava da davanti come un faro; per un attimo, in quel luogo dimenticato dal mondo, gli sembrò una supereroina della olovisione.

Si sentì battere forte il cuore, al pensiero che lei fosse pronta a mettere in gioco tutto, compresa la sua stessa vita, pur di salvare delle persone, o anche solo ottenere qualche informazione che potesse indirizzare gli altri nella giusta direzione.

«Sei fantastica.» commentò, sinceramente ammirato.
Lei si strinse nelle spalle. «Se non fossi io, sarebbe qualcun altro.» minimizzò.
Lui scosse la testa. «Non esiste qualcun altro come te.»

Imbarazzato da quell'uscita spontanea, si voltò, fingendo che qualcosa avesse attirato la sua attenzione. Così facendo, però, rinunciò a cogliere la reazione dell'interlocutrice che, senza aggiungere altro, entrò.

BAZZA DI TORDO 2172Where stories live. Discover now