4. Zanne

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Erano ormai giunti alle pendici di quella montagna di spazzatura, quando si fermarono di botto.

Nathan era certo che sarebbe morto prima di arrivare dal fantomatico dottore menzionato dai suoi aguzzini: dopo essere stato malamente trascinato per tutto il percorso, provava dolore ovunque, al punto da sentirsi intontito; i suoni gli arrivavano ovattati e confusi, la testa gli girava.
Ciononostante, riuscì a intuire che dovevano aver incontrato qualcuno.

«Smamma, sorella. Questo ormai è nostro.» stava dicendo Bolleviola, infatti.
«Non è roba per te.» Convenne Braccine.
«Nemmeno per voi.» ritorse una voce sconosciuta, femminile e vagamente roca.
«Che vuoi dire?»
«Vattene. O sarà peggio per te.» minacciò Ringhio.
«Ragionate, gente: come credete che reagiranno, ai piani alti, se fate a pezzi uno dei loro?» insistette la nuova arrivata.
«Si cagheranno sotto, te lo dico io!» rise Bolleviola.
«Non dovremmo esserne contenti.» li ammonì la nuova arrivata. «Quando i ricchi lo scopriranno, scenderanno qui come uno sciame di formiche, e con le loro armi pretenderanno di governarci.»
«E magari ci sarà acqua per tutti!» sbuffò Braccine.
«Dobbiamo essere cauti. Non possiamo provocarli in questo modo!» continuò la donna.
«Perché? Tanto, peggio di così...»

«Non credere a chi ti dice che toccato il fondo, si può solo risalire. Non è vero, specialmente se sei nato e cresciuto intorno alla discarica.» considerò la sconosciuta. «Dobbiamo lasciarlo andare.»

Ringhio emise uno strano gemito soffocato, quindi fece due passi avanti, afferrò la visitatrice inaspettata per un braccio e la scosse con violenza. «Tu vuoi solo portarcelo via. Sparisci!» Gridò, spintonandola con tale energia da farla cadere seduta a terra.

Il ruggito riverberò a lungo; un suono basso, roco, che fece vibrare lo stomaco di tutti i presenti, e li indusse a voltarsi all'unisono verso la fonte.

L'animale emerse da dietro uno sparuto cespuglio di bambosso dei sopravvissuti, una pianta prodotta in laboratorio incrociando bambù e bosso, in grado di tollerare grandi livelli di radiazioni senza conseguenze.
Fece due passi avanti, abbandonando il suo nascondiglio vegetale, e ruggì di nuovo. Quindi, fissando l'uomo con un braccio solo, arricciò le labbra, scoprendo le zanne acuminate.

Non era ancora chiaro in che modo le radiazioni avessero agito per modificare la vita superstite.
Nei casi studiati prima del disastro, come la foresta intorno alla centrale di Chernobyl, non si erano registrate variazioni eclatanti di fenotipo. Quali che fossero le ragioni, il bioma del 2172 era molto lontano da quello del mondo prima della guerra.

La creatura che stava minacciando il gruppo di umani era un lupo, ma così mostruoso che, se un abitante della Terra di centocinquant'anni prima avesse potuto viaggiare nel tempo e raggiungerli, non sarebbe riuscito a riconoscerlo.

Con un peso superiore al quintale e mezzo, era oltre tre volte la taglia media dei suoi progenitori. I temibili denti erano cresciuti in proporzione; la coda, lunga e glabra, somigliava a quella di un topo, e sulla schiena presentava una fila di aculei appuntiti duri come l'acciaio, lunghi non meno di cinquanta centimetri, esteticamente simili a quelli dell'istrice (un altro abitante del mondo antico, ormai estinto). Le zampe posteriori erano sottili e simili a quelle del canide originario, ma le anteriori erano possenti, pesanti, e armate di artigli ricurvi.
La maggior parte del corpo era nudo o ricoperto da una rada peluria grigia, ma alla base del collo aveva una folta criniera, che sfumava fino al punto in cui iniziava la chiostra di aghi difensivi.

Con scarsa fantasia, gli uomini l'avevano chiamato Lupo Spinoso.

L'esemplare che li fissava con aria ostile aveva la criniera nerissima, gli occhi gialli, ed era eccezionalmente grosso perfino per gli standard della specie.

«State fermi!» consigliò Bolleviola. «Sono attratti dal movimento.»
«Non vi attaccherà, se non mi farete del male.» assicurò la donna, rialzandosi lentamente in piedi.

La sorpresa fu tale, che per un attimo i tre tagliagole si dimenticarono della fiera e la fissarono sbalorditi.

«Non vorrai farci credere che quella bestiaccia ti ubbidisce?»
«A dire la verità» replicò l'altra, sbattendosi via la polvere dai vestiti con la mano «Non mi interessa granché quello che credete.»

I lestofanti guardarono alternativamente prima lei, poi il lupo.

«Cosa facciamo?» Sussurrò Braccine.
Bolleviola esitò. «Ora ce ne andiamo, bella. Non ti faremo niente, e tu terrai a bada il tuo cucciolo. D'accordo?» dispose, cominciando a spostarsi lentamente, cercando di tenere la mole di Ringhio tra sé e la minaccia di quelle enormi zanne snudate.

Fecero per sollevare ancora la tenda di kevlasol e riprendere la loro strada.

«No.» La sconosciuta scosse la testa. «Lui rimane qui.»

Incapace di trattenersi oltre, Ringhio sfoderò un coltello e face un passo avanti. «Lurida...» iniziò, ma rimase congelato a metà della frase, col braccio sollevato, quando il mastodontico canide balzò tra i due avversari, le labbra arricciate a tal punto che il muso era tutto una grinza, un cupo rombo che prorompeva dal basso ventre.

L'aggressore si ritirò, indietreggiando, e rimise l'arma a posto. «Andiamocene.» borbottò, allontanandosi lentamente, senza più voltarsi indietro.
Passato il momento di indecisione, i due compagni lo imitarono. Solo Bolleviola indugiò ancora un attimo. «Non finisce qui, puoi giurarci. Mi pagherai caro questo scherzetto!» minacciò, ma trasalì quando il lupo ringhiò sommessamente, e si affrettò a raggiungere gli altri.

Quando fu certa che non sarebbero tornati indietro, la sconosciuta si avvicinò al malcapitato, ancora avvolto nel kevlasol come una trota al cartoccio, e si accucciò su di lui.
«Riesci a sentirmi?» domandò, perplessa, studiando le sue condizioni.
«Sì...» mormorò lui con un filo di voce.
«Se ne sono andati.» tentò di rassicurarlo lei. «ora ti porto via da qui!»
Chissà dove, e per fargli cosa. Che fosse passato dalla padella nella brace? L'unico che era stato disposto ad aiutarlo in modo disinteressato, fino a quel momento, era stato...
«Bubi!» esclamò a voce troppo alta, sgranando gli occhi. Sporse una mano dalla sua prigione di tela e afferrò un braccio della donna. Il lupo brontolò di nuovo, ma lei lo tranquillizzò con un gesto della mano. L'animale si avvicinò fino a consentirle di accarezzargli la testa.

«Devi portare anche Bubi!» Insistette lui, agitato. Era tutto ciò che gli restava di sua madre, della sua infanzia, della sua vita agiata. Non poteva separarsene.
«Oh, grazie di avermi salvato. Di niente! Potresti portare anche il mio bubi, qualunque cosa sia, per favore? Te ne sarei immensamente grato. Ma certo, è un piacere!»

Nathan corrugò la fronte, sforzandosi di seguire la sua nuova conoscenza mentre scimmiottava una conversazione tra due individui, imitandone la voce; ma era troppo sfinito per riuscirci. Sguardo e pensiero presero a vagare.

Lei dovette rendersene conto, perché cambiò espressione e, scuotendolo leggermente, chiese: «Cos'è un bubi?»
«Il... rob...» Un violento colpo di tosse lo costrinse a interrompersi. Sentì il sangue colargli oltre il mento: sbatacchiato come in una lavatrice, si era morso il labbro e la lingua; il liquido vermiglio colava anche da un brutto taglio sul sopracciglio destro. «Nel kevlasol con me. La mia tata... robot.» farfugliò, tremando in modo incontrollabile.

Quindi, sopraffatto dagli eventi delle ultime ore e dalla stanchezza, perse i sensi.


SPAZIO AUTORE

Toccato il fondo si può solo risalire?

Forse non è vero per tutti. Ma pare che Nathan abbia trovato un insperato aiuto. Anzi, due!

Che ne pensate del lupo? Ce l'avete davanti agli occhi?
Spero che la descrizione funzioni ;)

Nathan è scivolato nel mondo dei sogni e credo che presto farò altrettanto :p
Alla prossima!

BAZZA DI TORDO 2172Where stories live. Discover now