11. Risveglio (I)

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Quando si riebbe, era di nuovo nel suo letto. O meglio, nel letto da pezzente che stava occupando abusivamente. Quanto gli mancava il suo, comodo e soffice!

«Ben svegliato, fratellino!» Esclamò allegramente Bubi.

Nathan non disse niente, ma in cuor suo tirò un sospiro di sollievo: se l'androide aveva ripreso il gioco, significava che la sua salute non destava più preoccupazioni. Si tastò il dito ferito: trovò la pelle liscia e fresca, senza più alcun gonfiore. Preso coraggio, estrasse il braccio da sotto le coperte e lo osservò: dell'infezione non c'era più alcuna traccia.

«La signorina Allison ha fatto un ottimo lavoro.» Commentò l'androide. «Ha trattato la parte con delle nano onde per uccidere i batteri, vi ha iniettato un potente antibiotico e ha somministrato perfino dei ricostituenti. Dovreste sentirvi alquanto in forze.»

Il giovane provò a chiudere e riaprire il pugno. Non provava più alcun dolore, e ogni traccia della necrosi era sparita. Con cautela, provò ad alzarsi in piedi, e scoprì che anche i capogiri erano passati.

«Dovreste proprio ringraziarla.»

***

La trovò in giardino, intenta a lavorare con un coltellino, seduta sotto all'ombrellone. Prese posto di fronte a lei, e per un bel po' rimasero così, in un silenzio rotto soltanto dal ticchettio del metallo che intaccava l'oggetto ancora informe.

«Cosa stai facendo?»
«Un mestolo.»
«Per noi?» Chiese ancora. Si stupì di aver usato il noi senza pensarci, si chiese se magari non fosse stato fuori luogo.

«Per venderlo.»

«Davvero?» Stava per chiedere a chi, ma si trattenne. Lei però doveva aver intuito le sue perplessità, perché lo prevenne: «nella città-fungo vive un sacco di gente di ceto medio basso: artigiani, camerieri, domestici... Gente che vive per soddisfare i bisogni di voi ricchi, e sta appena un po' meglio degli sfigati che abitano qui.» Fece una breve pausa per studiare le sue reazioni di sottecchi ma, dato che lui non reagiva, proseguì. «Queste persone non possono permettersi di acquistare oggetti nuovi: se sono fortunati, riescono a racimolare ciò che gli serve tra gli scarti dei loro padroni, altrimenti vengono a cercarlo qui. Una volta alla settimana, ai margini della discarica, si tiene un piccolo mercato. Le cabine ascensore vengono calate con degli argani, e gli acquirenti vengono giù, con le loro taniche d'acqua, un po' di cibo, a volte qualche credito.»

«Non ne avevo idea.»

Allison si strinse nelle spalle. «Non mi sorprende.»

«E come ti sei procurata un pezzo di plastica adatto ad essere scolpito?»
La donna non poté celare del tutto un sorrisetto, impossibile stabilire se di soddisfazione per le proprie capacità, o di vaga commiserazione per l'ingenuità del compagno.

«L'ho creato io.» Spiegò, indicando un punto alla sua sinistra con un cenno del capo.

Nathan seguì la direzione con lo sguardo. Poco più avanti, un enorme pentolone d'acciaio stava in equilibrio sopra un supporto a quattro bracci arrugginito e dall'aspetto poco solido, alla cui base era stato acceso un fuoco. Dall'interno della casseruola provenivano dei vapori densi e grigiastri.

«Raccolgo plastica di ogni tipo dalla discarica, la fondo tutta insieme e, con quegli stampi laggiù, ne ricavo delle barre, che poi lavoro e scolpisco.»

Solo allora il giovane si accorse che, dalla parte opposta, la sua ingegnosa amica aveva scavato una sorta di canale che defluiva in delle camere dall'aspetto vagamente cilindrico. Il terreno era stato rivestito con lamiere e pezzi di metallo male assortiti, e sembrava un mosaico astratto di cattivo gusto.

«Ma come fa a diventare liquida, anziché sciogliersi in un ammasso disordinato e bruciare?» Si chiese, senza quasi rendersi conto che aveva in realtà esternato ad alta voce il proprio dubbio.

«Osservazione intelligente. Le cospargo con quella schifezza che cent'anni fa spacciavano per "vernice antiradiazioni": fa da solvente e favorisce il processo. Ne ho trovato alcuni bidoni in un capanno abbandonato, mezzo interrato e quasi nascosto dal Bambosso dei Sopravvissuti.»

«E come facevi a sapere che poteva essere utilizzato in quel modo?»

«Come, come, come...» sbottò irritata «Ne capisco abbastanza di chimica da saper leggere un'etichetta, se non ti dispiace.»

Il ragazzo era sbigottito: non si sarebbe mai aspettato di incontrare qualcuno come Allison, in quella che aveva sempre immaginato l'anticamera dell'inferno. Lui aveva frequentato le migliori scuole della città-fungo, e tuttavia gli ingredienti di cosmetici e sostanze varie continuavano a sembrargli formule magiche scritte in elfico. Come era possibile che una donna sola, nata e cresciuta ai margini della società, fosse stata in grado di mettere a punto un processo così delicato, anche se apparentemente semplice?

In ogni caso, notò che la sua ospite si stava innervosendo e, dato che desiderava ricucire lo strappo della precedente conversazione, ritenne più prudente non approfondire ulteriormente il tema.

«Potrei farlo io.» Propose invece.
Lei inarcò le sopracciglia. «Leggere le etichette? Sicuro di farcela?» Lo schernì.
«Fondere la plastica. Posso farti trovare pronta la materia prima.» Ritorse lui in tono allegro, soddisfatto di potersi rendere utile.

«E se ti scotti?»
Per tutta risposta, l'altro si strinse nelle spalle. «Farò attenzione.»
«Non hai paura che se ti ustioni di abbandonerò? Oppure che venderò i tuoi organi al miglior offerente, dopo averti narcotizzato con i vapori?»

Era ancora arrabbiata. Logico che lo fosse.

Quanto avrebbe voluto avere un discorso pronto, magari scritto da qualcun altro!

Invece, era corso subito a cercarla, senza porsi affatto il problema di cosa si sarebbero detti.

Stava per dire che gli dispiaceva, ma si bloccò subito dopo aver pronunciato la prima sillaba, "mi": iniziare per l'ennesima volta il discorso con delle scuse rischiava di farle apparire come delle mere frasi di comodo, usate solo per trarsi d'impiccio.
«Mi rendo conto che il mio comportamento ti ha ferita. A questo punto potrei semplicemente implorare il tuo perdono, ma voglio prima chiarire un punto.»

Cercò di studiare l'espressione della sua interlocutrice tra gli strati di garza che le nascondevano il volto. Non riuscendoci, si limitò a proseguire. «Mi hanno insegnato che, in ogni scusa, dovrebbe esserci la promessa implicita di non ripetere lo stesso errore. In caso contrario, il pentimento non è sincero. Ecco, allora devo metterti in guardia che ci sono buone probabilità che accada di nuovo. Non sono molto bravo a preoccuparmi di altri oltre a me stesso. Anzi, a dire la verità, nemmeno troppo di me stesso. Non me la cavo con...» Esitò, cercando il modo di formulare il suo pensiero, ma alla fine non seppe trovare modo migliore, per concludere, di un banale: «tutto questo.»

Lei interruppe il lavoro e lo squadrò, inclinando leggermente la testa come un cane attento. «Con "tutto questo" intendi... Vivere?»

Rifletté in silenzio per un attimo, prima di annuire lentamente. «Sì. Ma vivere davvero, vivere sul serio. È tutto nuovo, per me. Come se, dopo aver cambiato categoria in uno sport di cui mi credevo un campione, avessi scoperto all'improvviso di essere una vera schiappa.»

Lei ridacchiò a quel paragone, per quanto calzante. «Come risolveresti una situazione del genere?»
«Nell'agonismo, intendi? Facile: allenandomi.» Si strinse nelle spalle. «Ma non posso farlo, in questo caso.»
Allison gli sorrise. «Invece si. C'è un modo per allenarsi anche a vivere: commettendo errori, e imparando da essi.»

«Significa...» Deglutì a fondo, esitante. «Significa che saresti disposta a perdonarmi?»

«Devo darti atto che sei partito molto svantaggiato, in questa competizione.» Gli fece l'occhiolino. «Se uno cerca di passare direttamente dai "Pulcini" alla serie A, è normale che abbia bisogno di allenarsi molto più degli altri.»

Travolto da un impeto di sollievo, Nathan le si fece incontro, s'inginocchiò accanto a lei e l'abbracciò.

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora