16. Gerarchie (I)

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La sera portò con sé un vento forte, caldo e umido come il fiato di un mostro gigantesco.

A causa sua, il drappo blu appeso sopra lo stipite della porta li accolse sventolando allegramente, come se volesse imporre la propria presenza, impedendogli di dimenticarsi della sorte della poveretta dalla quale si erano da poco congedati.

Erano quasi arrivati quando, tra tutti i quesiti che l'avevano tormentato per l'intero viaggio, Nathan ne espresse uno a voce alta: «perché lo fai?»

Erano rimasti in silenzio così a lungo che Allison quasi non si rese conto che si stava rivolgendo a lei. Sbatte le palpebre, chiedendo: «cosa intendi?»
«Forse è troppo personale» considerò l'erede dei Mayer «Intendevo perché fai tutto questo? Perché rischi così tanto, perché ti importa così tanto? Deve esserci una ragione speciale, non può essere semplice altruismo.»
«A parte il fatto che, se si trattasse di una cosa privata, faresti meglio a evitare di far domande a riguardo... Comunque si, hai intuito bene: ho perso mia madre.»

«A causa del morbo blu?»

Lei non confermò, né smentì. «Nessuno ha potuto fare niente per aiutarla, perché nessuno sapeva cosa avesse e in che modo intervenire.» Si fermò, guardando un punto oltre l'orizzonte mentre riviveva quella terribile esperienza.

Nathan si vergognò di averla costretta a provare altro dolore, dopo la visita appena conclusasi in modo tanto triste.

Stava per dirle che non era necessario dire altro, quando lei riprese: «La notte in cui morì, giurai che avrei fatto tutto quello che potevo per impedire che altri potessero subire la stessa sorte.» Una folata di vento più forte delle altre si insinuò sotto al suo cappuccio, spingendolo indietro e liberando una ciocca di lunghi capelli castani. Erano morbidi, ondulati, puliti e di una piacevole tonalità di marrone, che faceva pensare alla buccia delle castagne. Nathan si chiese perché mai avesse deciso di nascondere anche la propria chioma, dato che era di una bellezza invidiabile.

«Purtroppo, quel che posso fare si è rivelato essere: niente!» sbottò, irata. Strinse le braccia attorno alle spalle, quasi a darsi conforto, quindi concluse, con voce rotta: «Lotto da anni contro questo mostro invisibile, e non sono più vicina di un millimetro a scoprire come spezzare la catena dei contagi. Pensavo che raccogliendo dati sarei giunta in breve a un risultato, invece ho solo collezionato i volti degli sfortunati che lo contraggono! Di ognuno di loro ricordo le preghiere, le maledizioni, le suppliche... Credevo di poter dar loro il mio aiuto, ma l'unica cosa che hanno ricevuto sono state vuote promesse e false speranze!»

La sua voce si era fatta stridula, acuta, mentre lei si era accartocciata letteralmente su sé stessa, scossa da violenti tremori.

Stava per scoppiare a piangere.

Quando se ne rese conto, il ragazzo provò, forte come mai prima d'allora, il desiderio di poter fare qualcosa per farla stare bene, per alleviare la pena che la attanagliava, magari caricandola sulle proprie spalle.

«La speranza in un domani migliore aiuta questa gente ad andare avanti: almeno di questo, devi essere orgogliosa.» mormorò, allungando un braccio verso di lei, intenzionato ad abbracciarla.

Il suo gesto, però, sortì l'effetto opposto: sul volto della donna, la tristezza si tramutò in rabbia.

«Non ho bisogno della tua pietà, né tantomeno delle tue frasi da cioccolatino!» sbraitò, colpendo l'arto proteso verso di lei con un violento manrovescio.

Si tirò su il cappuccio, facendolo scivolare fin quasi sugli occhi, quindi s'incamminò a passo svelto verso casa, seguita a ruota dall'androide, che dichiarò in tono convinto: «Signorina, l'osservazione sul campo sta alla base di ogni conquista scientifica dell'umanità, grande o piccola che sia! Non dovrebbe definire irrilevante il suo operato con tanta leggerezza!»

Nathan rimase lì dove si trovava, massaggiandosi l'avambraccio nel punto in cui era stato colpito, e si chiese se sarebbe mai riuscito a far breccia nel cuore della ragazza o, almeno, a farle sapere ciò che provava, senza che lei si sentisse presa in giro.

***

Il mattino seguente, Allison lo svegliò come al solito prima dell'alba, ma con una sorpresa.

«Porto Bubi in un punto da cui possa accedere alla rete.» lo informò «della raccolta della rugiada ti occuperai tu.»

Sveglio di colpo, Nathan fece del proprio meglio per mascherare il terrore, con scarsi risultati. «Da solo?! Non credo di riuscirci!»
«Ormai sai come si fa, e poi, diciamocelo: non è che serva un'intelligenza superiore. Basta un po' di manualità.»
«Dici sempre che ho la manualità di un criceto monco!» insistette lui.
La donna lo studiò per un lungo momento, reclinando leggermente il capo, quindi si strinse nelle spalle. «Se non ti va, fai a meno. Ma bada che, se l'acqua non dovesse bastare, sarà la tua razione a risentirne.»

Senza attendere la risposta, lo mollò lì, uscendo senza ulteriori convenevoli.

Fu quindi la volta dell'androide di presentarsi al suo cospetto. «Buongiorno, signorino. A proposito della proposta della signorina Allison, la informo che, con l'aggiornamento in funzione dell'età, alcuni parametri delle direttive primarie sono stati modificati; adesso posso allontanarmi da voi, se le circostanze lo richiedono. Tuttavia, necessito in questo caso della vostra approvazione formale, oppure di un vostro ordine diretto.»

Era vero, rifletté il giovane: non ci aveva mai fatto caso, ma in effetti Bubi non si separava mai da lui, a meno di aver ricevuto esplicitamente l'ordine di aspettare.

Con la crescita del suo padrone, però, alcuni dogmi imposti al sistema operativo erano stati leggermente ammorbiditi: si presupponeva che un ragazzo di quell'età non avesse bisogno di essere costantemente monitorato, e nell'ottica dei costruttori, col tempo l'unità AB MK-IV avrebbe dovuto trasformarsi da tata ad assistente personale.

«Vai pure.» acconsentì il giovane «Fai del tuo meglio per aiutarla.»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora