8. Solitudine

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Allison rimase fuori per il resto del giorno, e la sua assenza non fece bene all'umore di Nathan. Troppo spaventato dagli incontri – sia umani che animali – che avrebbe potuto fare, il ragazzo, rimasto solo, non si fidava a sporgere nemmeno il naso oltre la porta, come se quel sottile foglio di lamiera potesse davvero offrirgli una qualsivoglia forma di protezione.

Confinato in una casa più piccola del suo bagno privato, e senza niente da fare, il giovane attraversò diversi stati d'animo, nessuno dei quali piacevole.

Si buttò sul letto, lasciandosi permeare dallo sconforto e dal pessimismo; zoppicò intorno al tavolo, prendendo a calci le sedie in preda alla rabbia; nascose la testa sotto al cuscino piangendo la sua sorte avversa, oppure vi gridò dentro la propria disperazione, maledicendo il genitore che l'aveva ripudiato e, talvolta, anche l'altro che, morendo, l'aveva abbandonato.

Si ritrovò perfino a sedersi accanto al secchio delle Lumache della Steppa e a parlare con loro.

Era ormai buio quando la porta si spalancò, facendolo scattare in piedi, la gruccia impugnata come arma di difesa. Per sua fortuna, si trattava solo della sua coinquilina.

«Ah! Sei tornata, infine!» Berciò in tono astioso. Il suo tumulto interiore era tale, da impedirgli non solo di mostrarsi grato del suo rientro, ma perfino di rendersi conto lui stesso di quanto la presenza della donna lo tranquillizzasse.

Esistevano soltanto lui, le sue necessità e ciò che provava.
Del resto, era sempre stato così.

I suoi principali interlocutori, di solito, erano robot, oppure servitori umani: non aveva mai dovuto preoccuparsi che essi fossero troppo stanchi per sorbirsi le sue lamentele, o che potessero a loro volta avere qualche grattacapo.

Allison, però, non apparteneva a nessuna delle due categorie.

Le bastò un'occhiata per rendersi conto che non c'era da aspettarsi niente di buono da quella conversazione.
«Non certo per il piacere della tua compagnia.» Replicò in tono asciutto.
«Adesso mi tocca anche starmene qui tutto il giorno ad aspettare che tu mi degni della tua presenza, come se il destino non si fosse già abbastanza accanito contro di me!»
«Non mi pare che qualcuno vi abbia costretto con la forza, mio principe!» Considerò l'altra, poggiando vicino ai fornelli un sacco di tela. «Se non siete soddisfatto dei miei servigi, potete benissimo uscire nel vasto mondo, e cercare qualcuno che possa accudirvi meglio.»

«Non prenderti gioco di me!» Sbraitò il giovane, arrossendo. «Sai che non posso farlo!»

«E perché mai? Non mi sembra che qualcuno ti stia trattenendo qui contro la tua volontà.»
«Non ho un altro posto dove andare!»
«Non è vero. È che ti fa comodo restare qui, dove c'è qualcuno a farti da balia.» considerò lei, cominciando a togliere alcuni involti di carta dalla busta.
«Bella balia! E chi l'ha mai vista?»
«Scusa tanto se sono andata a procurarci le provviste!»
«Scusa tanto se sono quasi morto!» le fece eco lui.

«Oh, poverino! Com'è sfortunato, lui!» Lo canzonò la donna.

L'altro proruppe in un verso beffardo. «E cosa sarei, allora? Fortunato?»

Allison smise di affaccendarsi nella preparazione della cena e si voltò, appoggiandosi con la schiena ai fornelli. «Sei sopravvissuto a un volo di centinaia di metri senza romperti nemmeno un osso: quante possibilità credi che ci siano, che ciò accada? Una su mille? O magari su un milione?»

Nathan sgranò gli occhi: non aveva riflettuto affatto su quell'aspetto, in effetti.

«Direi che non ti puoi proprio lamentare!»
«Non posso?» Ruggì il ragazzo, furibondo. «Mi hanno portato via tutto! Mi hanno cacciato dal mio mondo a calci. Hanno cercato di uccidermi!»

BAZZA DI TORDO 2172Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora