Capitolo XIII (R)

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Per una notte ero stata privata delle scosse, ma tanto era bastato per farmele rivivere come se fossero le prime.

Quel formicolio tramortente che precedeva i guizzi sprigionati dal trasmettitore, una condanna o una salvezza per chi come me si trovava sull'orlo di un baratro. Detestavo l'idea di non avere il controllo su come e quando chiudere gli occhi, ribollivo di rabbia al pensiero che qualcuno, alle veci dei Rappresentanti, dovesse premere con leggerezza un tasto per renderci dei fantocci accomodanti. Tuttavia, per quell'unica notte, volevo dimenticarmi di cosa fosse giusto o sbagliato: un posto senza incubi, paura e dolore, era meglio di qualsiasi notte passata a soffocare in queste. Quell'esonero, che tanto ingenuamente mi era parsa una ricompensa, poteva in realtà essere visto come una punizione.
Ma chi poteva essere così crudele da dare una persona in pasto ai suoi demoni?

La fase di stallo, quella in cui dopo le scosse si restava sospesi tra la realtà e il vuoto assoluto, durò più di quanto ricordassi. Sentivo lo stato di inerzia del mio corpo, come se in realtà potessi ancora muovermi ma le energie mi venissero risucchiate. C'era qualcosa, all'altezza dei polsi e delle caviglie, che premeva sulla pelle con dolorosa costanza. Aspettai che la voce mi riportasse alla routine onirica che avevo sempre vissuto, ma non fu così. Quella dolce e delicata voce che mi aveva tanto turbata, aveva assunto delle sfumature più cupe, scostanti.

«Non avevano il diritto di farlo» pronunciò. «È una nostra competenza».

Rammarico, forse anche velata collera, scorrevano innaturali in quelle parole. Qualche verso di disappunto e il silenziò agguantò di nuovo la mia mente, talmente limpido da rendere percettibile il mio stesso respiro.
Si può ascoltare il proprio alito di vita in un sogno?

«Ehvena» infine mi chiamò. Non fu come sempre, quel nodo negativo ne distorceva ancora il tono.

Dei brividi mi corsero su per la schiena, quando un pizzico gelido mi colpì al braccio sinistro. Era un déjà-vu della prima notte passata nella Base Alpha; anche allora avevo avuto quell'insolita sensazione di essere rivoltata dall'interno, come se qualcuno raschiasse sul fondo della mia mente per recuperare qualcosa, trovando il vuoto deludente di quando non si riesce a ricordare un evento di cui diamo per certa l'esistenza.

«Sei...» sussurrò affranto, «troppo fragile, Ehvena Johns. Se ciò che è accaduto ti ha scossa fino a questo punto, superare le prove per te sarà devastante».

Le parole mi scivolavano addosso come un gelido soffio, portandosi via la mia coscienza.
Devastante, aveva detto. Non difficile.

• • • • •

Spalancai gli occhi, ancora bagnati delle lacrime versate ore prima, abbandonando il ricordo della conversazione. Mi presi del tempo per assaporare quelle genuine abitudini: svegliarsi dal torpore notturno, concentrarsi sulle lenzuola attorcigliate, gli sbadigli e lo stiracchiarsi. Il livido faceva ancora un po' male, un dolore sopportabile e in procinto di svanire.

Dopo aver sfogato le angosce represse in un lungo pianto, anche se interrotto, mi sentivo più leggera, quasi sollevata. Avevo ancora la testa affollata da quei pensieri ingombranti, raddoppiati durante la notte; quelli che se si tentava di allontanare diventavano più persistenti, vividi, spesso al limite dell'ossessione. Ora avevano tutti il suono di quella voce, la stessa che poche ore prima veneravo per via del suo effetto calmante, e che ora grondava di rimproveri.

"Sei troppo fragile. Per te sarà devastane" lo aveva detto chiaramente. La parte più irritante era similarità tra quelle parole ed altre più aspre. Lì, si parlava di una rosa – un bocciolo a dire il vero – che qualcuno credeva fosse il mio ritratto.
Il fatto che fosse tutto vero, mi faceva diventare matta.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Where stories live. Discover now