Capitolo XXXI (R)

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Il vero pericolo non erano i concorrenti sparsi per la foresta, pronti ad attaccarci, ma crollare la sera e sapere di doversi abbandonare completamente a due sconosciuti, manipolatori doppiogiochisti. Ancora più duro era il risveglio, quando riemergevo dalla buca oscura in cui venivo trascinata e dovevo ricostruire gli avvenimenti persi attraverso le risposte schive dei miei soldati.

"Non è successo niente" era solito dirmi Esral.

"Abbiamo continuato a camminare lungo il fiume come concordato. Nessuno si avvicina qui, almeno non con queste piogge ad intermittenza" esplicava più dettagliatamente Shawn.

Il tragitto sembrava infinito e immutabile, per quanto camminassimo durante il giorno e per quanto loro sembrassero spostarsi di notte. Il secondo giorno di viaggio, poco dopo mezzogiorno, Shawn disse che eravamo quasi alla meta. Neppure una volta riuscii a toccare con mano, o vedere con i miei occhi, il palmare e la mappa. Divenni sempre più sensibili ai loro cambiamenti, che dal giorno alla notte diventavano ancora più marcati: Esral sembrava sempre sulle spine, mosso da una fretta che immaginai avesse poco a che fare con la prova; Shawn non mi guardava più negli occhi, straparlava del tempo e, cosa ancora più strana, non mi chiamò mai Vèna. In realtà, non mi chiamò affatto.

Quando ci addentrammo nuovamente nel folto della foresta, mi aspettai di trovare Brunuas e il suo gruppo appostati dietro qualche albero, pronti a saltare fuori e ridere di me. Invece, l'unica cosa che vidi fu l'imbocco del B6. Ero scettica sul nostro arrivo, mi dovetti ricredere quando il militare di turno ci accolse.

La nostra era una visita breve, giusto il tempo di timbrare, poiché il bunker 7 si trovava non molto lontano dal B6. Raggiunto quello avremmo riposato fino al giorno dopo, raggiunto il B8 gli altri erano a un passo di distanza. Timbrato tutto ci restava solo il punto di arrivo.

Nessuno ci aveva spiegato cosa fare una volta arrivati lì, quindi decisi di chiederlo all'unica persona istruita: il militare.

Mentre gli consegnammo i tesserini feci le mie domande. «Una volta arrivati alla zona di arrivo, cosa succederà?»

Il militare, un uomo troppo alto per un bunker sotterraneo e troppo magro per essere parte del corpo speciale dell'Isola, rispose con il tono di chi si era appena svegliato da una lunga letargia. «Troverete la cabina di recupero ad attendervi».

«Quella della piattaforma Omicron? Si troverà lì sopra?» insistetti io.

«Sarà visibile già dal bunker 7, alberi permettendo» replicò. Aspettò qualche istante per vedere se c'erano altre domande – lo strano atteggiamento di Shawn lo portò a non aprire bocca – poi si avviò verso la sala a noi preclusa, piegando con naturalezza il capo per passarne la soglia.

«Se vuoi fare una piccola pausa...» tentò Shawn. Dei due io ero quella più riposata, eppure non perdeva occasione di mostrarsi apprensivo nei miei confronti. Quasi fosse una forma di riscatto per ciò che stavano entrambi omettendo. Serviva solo a farmi arrabbiare ancora di più.

«Aspettiamo che il militare ci riporti i tesserini e ci rimettiamo in marcia» ordinai a entrambi. Mi chiesi poi se, come io avevo notato certe cose, anche loro stessero cogliendo qualcosa in me. Speravo si accorgessero da soli che avevo intuito tutto, che uno dei due intavolasse il discorso e mi spiegasse. Volevo davvero credere che avessero un minimo di rispetto per me, non come loro Comandante, semplicemente come persona.

«D'accordo» rispose, lasciandomi sempre più interdetta.

Un'altra cosa ad essere cambiata nel corso di quelle sere, fu il loro rapporto. Ammesso che ne avessero mai avuto uno... I primi due giorni si erano divertiti a prendermi i giro, una complicità non pianificata, quasi spontanea, che aveva cominciato a dissolversi con l'arrivo delle scosse. Adesso erano molto più seri, come se ne andasse della loro vita.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Where stories live. Discover now