Capitolo XVII (R)

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Mi scortarono fino all'ascensore, uno diverso da quello che avevo preso per scendere, dalla quale sbucammo nell'area dei Latori. C'era una seconda stanza a cupola connessa con il centro di controllo, nel versante opposto. Asia, William e la sua Assistente, mi avevano aspettata per tutto il tempo. Scoprii presto che tutti gli altri candidati avevano terminato i loro colloqui molto prima di me, mentre io ero rimasta chiusa in quella stanza con gli Osservatori per circa 50 minuti. Per un po' rimasero a fissarmi, cercando di capire com'era andata solo dalla mia espressione. Non colsero la gravità della situazione perché stavo ancora cercando di elaborare quello che era accaduto, dovevo sembrare solo molto confusa.

William spezzò il silenzio per primo. «Ti hanno fatto il terzo grado per metterci così tanto? Io sono stato mandato via dopo mezz'ora».

«Ehvena?» mi chiamò Asia. «Com'è andata?»

Li guardai per un istante, la poca speranza rimasta alla mia Assistente le zampillava dalle pupille. Non avevo ancora detto una parola da quando il colloquio era terminato, e non mi aspettavo che le prime venissero fuori con così tanta collera. «Si sono comportati come dei gran bastardi...» spiegai digrignando i denti. Non mi capitava di essere così stanca di chiunque mi stesse attorno, di voler disperatamente essere lasciata in pace, da quando avevo lasciato Shawn.

«Non importa» si affrettò a dire Asia. «La prossima volta sarai preparata, non accadrà più. Inoltre, lo scopo principale del colloquio è quello di mettervi sottopressione, quindi è tutto nella norma».

«Nella norma?» contestai con un filo di voce. «La prossima volta, tu dici... No, grazie» aggiunsi, allontanandomi a grandi falcate.

Potevo sentire Asia tacchettare dietro di me, finché di colpo non si fermò. La mia idea su di lei si rafforzò: era un'ottima Assistente, soprattutto perché riusciva a riconoscere una causa persa e a lasciarla stare. Percorsi a ritmo di corsa quasi metà del campo all'aperto dei Latori, pieno di cadetti in addestramento, con la voce di Bogaert che ripercorreva a ritroso le domande, prima di venir acchiappata da William. Mi aveva seguita in attesa del momento giusto per rapirmi.

«Lasciami!» strepitai tanto da far voltare alcuni soldati.

«Mi sono stancato di ricevere ordini da te: non mi toccare, vattene via, lasciami, levati... Sai dire solo questo?» mi sgridò mentre, con estrema facilità, mi trascinava lontano dagli spettatori.

Mi lasciò andare solo quando raggiungemmo un punto isolato, lungo le pareti esterne di un canale connettivo. «Che ti prende?!» gli gridai contro.

«Cosa prende a me? Cosa prende a te!?» ribatté, fuori di se. Gli occhi ingigantiti dalla rabbia, la voce bassa almeno di due toni, era irriconoscibile. «Quella povera donna è in pena per te e l'unica cosa che riesci a fare è andartene!»

«Quello che faccio con la mia Assistente non ti riguarda» gli feci notare.

«Normalmente no, ma se vengo trattato, per la seconda volta di seguito, nello stesso modo, la cosa mi riguarda eccome!»

La sua voce non era mai stata più profonda e virile di così. Da arrabbiato non era più così innocuo, tuttalpiù aveva l'aria di qualcuno capace di creare seri problemi. Mi ricordava Paterson, e questo mi spaventava. Quando fece un passo verso di me, la differenza d'altezza diventò un problema.

«Cosa intendi?» bofonchiai, cercando di smorzare l'atmosfera un po' troppo pesante.

Si premette due dita sulle tempie e mi osservò innervosito, come se d'improvviso avesse mal di testa e fossi stata io a procurarglielo. «Lo sai che esistono altre persone oltre te? Povere persone che non capiscono quello che ti passa per la testa e che, comunque, tentano di aiutarti». Sospirò, esasperato. «C'ero anche io ad aspettarti con lei. C'ero dopo che sei stata aggredita, quando sei fuggita dalla mensa e anche quando non mi hai creduto».

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora