Epilogo | Capitolo XXXIII (R)

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Il militare mi fece accomodare al cospetto della giuria completa: i Rappresentanti, con al fianco i Latori, i Responsabili e, tra i più prossimi, gli Osservatori.

La mensa era stata sistemata per gli ultimi colloqui con i concorrenti rimasti in gara dopo la quinta, ed ultima, eliminazione. Le tavolate erano state spostate sulle fiancate, lasciando un ampio spazio centrale nella quale era stata riposta un'insignificante sedia. Quella che diventò la mia sedia, nell'istante in cui misi piede lì dentro. I due Rappresentanti mi fissavano dall'alto della loro carica, senza tradire in alcun modo i loro pensieri. Tremblay, che in qualunque occasione aveva avuto un rassicurante sorriso per noi candidati, era stato contagiato dalla raggelate compostezza della Rappresentante Engineer.

Chamber fu l'unico a considerarmi per quel che ero: una persona, messa in soggezione dai loro modi inquisitori. Ero lì solo per decidere se andarmene o proseguire l'Elezione, invece sembra stessero per processarmi per qualche imperdonabile crimine. Ochkers, il brillante scienziato affetto da cecità, accennò un sorriso prima che Chamber iniziasse con le formalità.

Alle spalle dei Rappresentanti era stato affisso un tabellone con l'ultima classifica completa, che il Responsabile usò come trampolino di lancio per ricapitolare tutte le mie precedenti posizioni. Con soddisfazione fece notare ai presenti che, per quasi tutte le Cinque Prove, mi ero trovata nel gruppo dei Positivi. Ad alcuni di loro sembrai una concorrente ingamba, quasi nessuno sapeva che quei risultati erano dovuti alla paura delle prove e non alla voglia di vincere. La Rappresentante Engineer era una delle poche a saperlo, mentre persone come Aderline Abeltiji lo spettavano.

«Ehvena Johns». La Rappresentante interruppe bruscamente l'elogio di Chamber, forse stanca di sentir parlare bene di qualcuno che sapeva essere disinteressato alla ragione ultima di quella riunione. «Attualmente occupa la seconda posizione nella classifica dei Positivi. Mi congratulo con lei» aggiunse senza qualsivoglia accenno di contentezze.

«Non è ancora stato detto, ma questo colloquio serve per discutere degli eventi accaduti durante la Quinta Prova. Le darà anche modo di comunicarci la sua scelta riguardo alla permanenza oltre le prove obbligatorie». Spiegò con aria annoiata, come se il colloquio fosse solo una formalità e già tutti sapessero cosa avrei risposto all'ultima, fatidica domanda. «Spero non me ne voglia Responsabile Chamber, ma vorrei passare la parola ai suoi colleghi Osservatori per cominciare a esaminare l'operato della candidata. Bogaert ci leggerà alcuni degli appunto scritti dall'equipe di Osservatori che hanno seguito la ragazza durante la prova».

Malgrado la scortesia, Chamber si riaccomodò senza fiatare lasciando spazio ai suoi colleghi. Di certo l'Osservatore Augusto Bogaert non avrebbe tralasciato tutti i miei errori, ridicolizzandomi come durante gli altri colloqui.

«Se mi permettete» s'intromise Tremblay, l'aria piuttosto irritata. Succedeva spesso che la Rappresentante parlasse a nome di entrambi, Tremblay non aveva mai lasciato intendere che la cosa lo infastidisse. Fino a quella volta. «Vorrei far presente, a chi non dovesse averlo ancora notato, che la candidata Johns non è nelle condizioni migliori per affrontare un colloquio. Parlare per lei potrebbe essere difficile e nessuno vuole che le sue condizioni peggiorino, giusto?»

Nessuno ebbe il coraggio di contraddirlo, non alla vista dello scempio che avevo alla base della mascella e che continuava sul collo, sfiorando l'orecchio. Per non parlare dei danni ben nascosti sotto i vestiti, come un livido della stessa grandezza di quello che avevo sul viso ma che mi impediva di respirare a dovere. Il colpo di Brunuas era stato talmente forte da privarmi della possibilità di esprimermi correttamente e muovermi in piena libertà, se non a costo di lancinanti dolori. Da Rappresentante qual era, Tremblay aveva il potere di porre domande a cui nessuno avrebbe mai risposto a sfavore, eccezion fatta per la sua collega in carica, che però si vide costretta ad asserire. Tremblay proseguì ordinandomi di rispondere con cenni del capo e, in casi estremi, di parlare con un numero di parole ridotte. Era l'unico ad avere a cuore la mia salute.

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