Capitolo XXV (R)

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Quei colpi mi avevano svuotata. Al mio corpo rimase appena la forza per continuare a respirare e ascoltare. E cos'altro se non quella voce? Non era più un sussurro vicino, ma un mormorio distante, appena percettibile. Mi sembrava di star spiando due persone che conversavano, ma solo uno dei interlocutori era udibile: la voce, quella che dopo mesi sembrava essere improvvisamente scomparsa, ora intratteneva un monologo insensato.

«Ha solamente bisogno di tempo» sembrò dire. Un alito di vento poco più che accennato, sibilava riverberando per le pareti della mia mente svuotata. Non ebbe alcuna risposta. «So che è incerta e che ora non possiamo permettercelo. Però, proprio perché esita...»

Un altro silenzio, un'altra risposta mancata. Ma la voce andò avanti.

«Questo non lo so, ma potrebbe capendone l'importanza» continuò. «Nessuno di loro va davvero bene!»

Ancora nessuna risposta.

«Forse mi sbaglio, ma quale alternativa abbiamo?»

Le parole sbiadirono nel silenzio, che perdurò per un tempo per me impossibile da definire. Quando chiudevo gli occhi, ormai, il suo regolare scorrere si era alterato. Una notte era come un intero giorno passato alla Base, una manciata di parole delle ore, un sussurro anche più di tutto. Quel che vissi nell'incoscienza, poteva essere durato anche più della prova stessa. O meno di un battito di ciglia.

Quando trovai l'energia necessaria per riprendermi, furono altre le voci ad accerchiarmi. Troppe e litigiose, scatenarono il caos anche fuori dalla mia testa; il tutto smorzato solo di fischi debilitanti che mi laceravano le orecchie.

«Questa cosa non è giusta!» L'ultimo gridò arrivò con chiarezza, stridulo anche più dei sibili. Aspettai di mettere a fuoco il suo viso per capire chi fosse: Adele, in piedi davanti a quella che doveva essere l'ennesima brandina dell'infermeria. Così, era già la terza volta che dopo una prova mi svegliavo con la paura di aver subito un danno permanente.

«Abbassa la voce!» L'inconfondibile nota severa di William mi spinse ad alzarmi, forse con troppa prodezza da poter gestire. Mi riaccasciai subito sul lettino, scossa da nuovi, insopportabili dolori.

«Visto? L'hai svegliata!» inveì. «Ehvena, rilassa i muscoli! Farà male ancora per un po'» sussurrò mentre iniziava a massaggiarmi gentilmente i polpacci, contratti nel dolore come il resto del corpo. In un unico istante fui in grado di percepire ogni singolo muscolo del mio corpo; alcuni non pensavo neppure di averli. Rimasi senza respiro, bloccata in una morsa paralizzante. La pressione si accumulò nelle tempie, facendomi bruciare gli occhi fino ad annebbiarli. William continuò a massaggiare con cura tutte le parti più sofferenti: prima il busto, proprio sotto la gabbia toracica, permettendomi di fare piccoli respiri, poi il collo, le spalle e la zona dei reni. Grazie a lui la tortura fu più sopportabile, ma non meno lunga. Dopo un profondo respiro, scivolai nuovamente esausta sul lettino.

Opal si avvicinò per vedermi meglio, mentre Quiana mi si sedette accanto. Potevo vederle dal naso in su, i capelli mi solleticavano una guancia. Aiutò William massaggiandomi le braccia. Aveva l'aria molto stanca, ma il suo aspetto era comunque migliore di quello di Opal. Io, probabilmente, ero messa peggio di entrambe.

«Aaah» sospirò Opal. «Avrei voluto che qualcuno lo avesse fatto per me quando mi sono svegliata. Quei bastardi degli infermieri mi hanno lasciata quasi soffocare.»

«Ordini dei Responsabili» disse Alexa. Anche leu era lì. La chioma bruna sbucava oltre le spalle di William. C'erano tutti in realtà, dal vociare di sottofondo l'infermeria era di nuovo piena. Attorno al mio letto c'erano solo visi familiari, parte di una vecchia e tacita alleanza che durante l'ultima sfida era stata riesumata. Adele era l'unica estranea. Guardai alle sue spalle, poi ai lati, ma non c'era traccia di Shawn.

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